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Cicerone 123



XVII.


Essendo periti i monumenti della filosofia italica, i moderni cercarono ricomporla mediante il linguaggio e la giurisprudenza: e per quanto incerto vada tal genere di congetture, n’esce una filosofia non di scuola come fra’ Greci, ma pratica e civile. Quanto però avea di originale ben tosto si mescolò alla greca, alla quale tutti accorrevano, e che essendo fatta men per la vita che per la scuola e per esercizj di ingegno, variava secondo il differente punto d’aspetto, e menava facilmente al rifugio dei tempi scredenti, l’eclettismo. Pure anche qui come nel resto, i Romani si mostrarono utilitarj e stimando la scienza in ragione del vantaggio che recava, la filosofia assoluta disprezzavano non solo come inutile e ciancera, ma come pericolosa, imputando ad essa la decadenza della Grecia1. Perciò attesero piuttosto alla morale, cui proposero uno scopo immediato: e Panezio, che iniziò i Romani alle dottrine stoiche, non restringeasi ad angustie di partiti; venerava Platone come il più saggio e santo de’ filosofi, ma insieme ammirava Aristotele: non approvava negli Stoici la durezza affettata, e giungeva sino a raccomandare il libro d’un Accademico, ove s’insegnava che la pietà ci è data dalla natura per renderci clementi2.

    solito scrivano di Attico. Bruto dal campo di Vercelli scrive a Cicerone: — Leggi le lettere che spedisco al senato, e, se ti pare, cambiavi pure». Ad fam. XI, 19. Un capitano che dà arbitrio all’amico di alterare un dispaccio offiziale! Cicerone stesso apre la lettera di Quinto fratello, credendo trovarvi grandi arcani, e la fa avere ad Attico dicendogli: — Mandala alla sua destinazione: è aperta, ma niente di male, giacchè credo che Pomponia tua sorella abbia il suggello di esso».
    Da ciò la grande importanza data al suggello, ancor più che alla firma. In fatti la scrittura, oltre essere tanto somigliante perchè unciale, poteva facilmente falsificarsi o sulle tavolette di cera o sulla cartapecora. Pertanto succedeva spesso di fare interi testamenti falsi, come appare nel Codice Giustinianeo De lege Cornelia de falsis, lib. IX, tit. 22.

  1. Quibusdam, et iis quidem non admodum indoctis, totum hoc displicet philosophari», Cicerone, De finib. I, 1. — Vereor ne quibusdam bonis viris philosophia nomen sit invisum». De off. II, 1. — Reliqui, etiamsi hæc non improbent, tamen earum rerum disputationem principibus civitalis non ita decoram putant». Acad Quœst. II, 2. Si può consultare Ritter e L. Preller, Historia philosophiæ græcæ et romanæ ex fontium locis. Gota, 1863, ediz. III.
  2. Cicerone, De finib. IV, 28 e 9; Acad. Quœst. II, 14.