Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/402

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380 illustri italiani


Appartengono alla materia stessa i Rimedj d’amore, suggeriti a chi mal ama. Tali sarebbero lo schivare l’ozio, applicandosi a studiare le leggi, a difendere accusati, a portare le armi, alla campagna, alla caccia; e cansare l’amata e non parlarne in bene nè in male; o, se nol si possa, tenersi sempre a mente i torti avutine, i difetti scopertine, e immaginarla negli atti ove essa men vale, o nelle basse necessità della vita; bruci i viglietti di essa; fugga i luoghi memori; fugga gli spettacoli teatrali e i poeti, e i versi stessi d’Ovidio1. D’altri rimedj è onesto il tacere.

Aveva anche insegaato l’arte di farsi bello (De medicamento faciei), ma non ce ne resta che un brano.

Insieme dava fuori di tempo in tempo le Eroidi, genere di cui si vanta inventore2. Suppone siano epistole scritte da antichi; ma non sa investirsi dell’indole dei tempi, nè assimilarsi al sentimento delle età remote; le più inchiudono lamenti lambiccati per separazioni e lontananze, ed anche in esse l’affetto resta soffogato dall’erudizione. Allora piacevano ai pochi che leggevano, e un tal Sabino vi fece delle risposte, che non ci rimasero, e che probabilmente valeano ancor meno.

Qui suol deplorarsi la perdita della Medea, sua tragedia; ma chi mai potrà figurarsi che l’autore delle Eroidi potesse ben comporre una tragedia? I luoghi comuni di cui tesse quelle epistole, la dilavata facilità del suo stile non ce ne lasciano troppo rimpiangere la perdita3. Sarà stato un acervo di declamazioni dialogate, ove il

  1.                Eloquar invitus: leneros ne tange poetas.
                   Callimachum fugito: non est inimicus ameri;
                        Et cum Callimacho tu quoque, Coe, noces.
                   Me certe Sappho meliorem fecit amicæ,
                        Nec rigidos mores theia musa dedit.
                   Carmina quis potuit tute legisse Tibulli,
                        Vel sua cujus opus Cynthia sola fuit?
                   Quis potuit lecto durus discedere Gallo?
                        Et mea nescio quid carmina dulce sonant.

  2.                          Ignotum hoc aliis ille novavit opus.

    Ars Am. III.

  3. Nel libro V Tristium el. 7, scrive:

                   Carmina quod pieno saltari nostra theatro
                        Versibus, et plaudi scribis, amice, meis,
                   Nil equidem feci, tu scis hoc ipse, theatris;
                        Musa nec in plausus ambitiosa mea est.

    Pare da intendere che i suoi versi si leggessero in teatro, benchè nulla avesse scritto pel teatro.