Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/451

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torquato tasso 427


Cantici sacri quasi letteralmente tradotti pose nel primo canto ove Gerusalemme invoca il Signore, mostrandogli la sua depressione; nel quarto allorchè i Crociati vedendo la Città Santa, le intuonano il Surge, Jerusalem, illuminare, quia venit lumen tuum; e in molti altri luoghi. Se però la storica fedeltà v’è cercata in particolari di poco rilievo, realmente non v’è per nulla riconosciuta l’importanza e la verità di quella spedizione. Servilmente calca le orme di Omero, che sembra allora soltanto avere conosciuto; e quanto ne rimanga addietro basta a mostrarlo la infelicissima imitazione dell’addio di Ettore e Andromaca, dove il nostro sfronda tutte le bellezze dell’originale, oltre l’assurdo di fare affettuoso padre e marito quell’Argante, cui carattere era un bestial valore. Passi bellissimi della Liberata son tolti via dalla Conquistata, per surrogarne di freddi e insulsi; lo stile è costantemente peggiorato; reso talora più duro e tronfio il verso, e intanto conservati i principali difetti e forse tutte le antitesi, i pleonasmi, i raddoppiati aggettivi, gli emistichj superflui, le allambiccature nell’espressione degli affetti. Nel sogno, ove Goffredo vede il regno di Dio e le sedi preparate agli eletti, il poeta, per figurar la beatitudine, non era ricorso alle sublimità profetiche, neppur alla tradizione popolare, ma, come dicemmo, limitossi a tradurre il ciceroniano sogno di Scipione. Sentì la sconvenienza, e nella Conquistata le immagini dedusse da Ezechiele, da san Paolo, da altri santi, benchè non felicemente se ne valesse. Sul cominciare esclama:

               Lunge siate, o profani, e voi c’addugge
                    L’ombra di morte e ’l cieco orror d’inferno,
                    Che ricercate pur latebre ed ugge
                    Al peccar vostro ed al nemico interno;
                    E voi, ch’il vago amore infiamma e strugge,
                    O l’odio indura al più gelato inverno.
                    Ma chi di santo ardor mi purga il labbro
                    Se l’opre or narro del celeste fabbro?

                        Voi, che volgete il Ciel, superne menti,
                   E tu, che duce sei del santo coro,
                   E fra giri lassù veloci e lenti
                   Porti la face luminosa e d’oro,
                   Il pensier m’inspirate e i chiari accenti
                   Perch’io sia degno del toscano alloro,
                   E d’angelico suon canora tromba
                   Faccia quella tacer ch’oggi rimbomba.