Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/452

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428 illustri italiani

Goffredo scorge l’Amor divino e l’Amor terreno, colle varie opere loro, delle quali le immagini si presentano in visione al capitano, che, per una scala simile a quella di Giacobbe, monta al cielo, ove trova Eustazio, che gli mostra la reggia e il soglio dell’Eterno. Bel concetto che poi dilava in troppe stanze, e conclude sciaguratamente imitando i poeti anteriori col far che Goffredo scorga le sedi destinate a sè, a principi, a prelati, a guerrieri, di sollucherar i quali prende da ciò occasione.

Ma è colpa de’ critici se il vigor suo era svanito? La Conquistata fa la figura d’un bel giovane, al quale un artista col coltello e colle tenaglie avesse levato qua, allungato là per renderlo meglio proporzionato. I posteri che dimenticarono la prima edizione dell’Orlando Furioso (1532) per l’ultima tanto migliorata, lasciarono giustamente da banda la Gerusalemme Conquistata per rileggere la Liberata, benchè di questa egli si mostrasse pentito, e «alieno, come padre dai figli ribelli, e sospetti di esser nati da adulterio».

Nè qui son tutte le opere del Tasso. La favola boschereccia l’Aminta è forbitissima poesia, tutta venustà di parole, di versi, di stile, di concetti, benchè questi siano spesso sottilizzati troppo più che non s’addica a pastori e a satiri; ed anzichè la rapidità del movimento drammatico e la sospensione delle interessanti situazioni, sono a cercarvi la bellezza e la tranquilla pompa della poesia.

Volle emularlo Giambattista Guarini ferrarese (1537-1612) col Pastor Fido, tratto dall’avventura di Coreso e Calliroe di Pausania; e l’intitolò tragicommedia perchè di fine infelice. Vi lavorò attorno ventun anno; l’azione è protratta per seimila versi in dialoghi lenti, riflessioni superflue, luoghi comuni e scene sconnesse: ma il frequente calore della passione e della favola, larga, interessante, il buon intreccio a guisa di vera tragedia trasferita dalla reggia nei campi, gli assegnano un bel posto, sebbene ignori l’arte suprema della drammatica, il tener viva la curiosità. Porlo a petto dell’Aminta è ingiustizia, perocchè ai difetti medesimi, alla maggior raffinatezza nei pastori, tramutati in personaggi d’anticamera, alle arguzie più lambiccate, unisce l’evidente imitazione di Torquato, il quale a ragione potè dire: — E’ non sarebbe giunto a tanto se non avesse veduto me». L’impressione inoltre n’è pericolosissima, quantunque,