Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/470

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446 illustri italiani

cessione di sant’Ambrogio1; vi serpeggiava pure la simonia; e per questo e per ambizione quel clero stava alieno dalla santa sede, e per due secoli se ne tenne quasi separato, pretendendo la Chiesa di sant’Ambrogio non fosse inferiore a quella di san Pietro. Guido da Velate, postovi arcivescovo per favore del re e contro il privilegio del capitolato, vendeva le cariche e versava su altri il peso del suo ministero, mentr’egli consumava tempo ed entrate in caccie ed esercizj guerreschi. L’alto clero il favoriva per imitarlo; ma il minore ed il popolo ne prendeano scandalo e nausea, a tal segno che, mentr’egli celebrava, l’abbandonavano tutto solo all’altare.

A capo de’ rigorosi stavano Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta, Arnaldo d’Alzate, levando la voce a rischio della vita. Tosto si formano due fazioni nella diocesi; fino all’armi si venne; ma trovato chi osa dire una verità, può soffocarsene il suono? Roma sostiene quelli che il ferro dei grandi minaccia, e che i sinodi provinciali scomunicano. Pier Damiani e Anselmo da Baggio, spediti legati dal papa in Lombardia, riuscirono a metter all’obbedienza il clero. Fiera fu l’opposizione dei nobili, sfogatasi anche in assassinj. Ma il popolo, che suole pretendere maggiori virtù da chi lo dirige,

  1. Il passo fu accertato essere stato intruso. Ad ogni modo si sa che questo divieto a’ preti di aver moglie non è che una disciplina, e la Chiesa l’adottò per alte convenienze pur tollerando in alcun luogo, come fra i Greci. Che a Napoli il matrimonio de’ preti e sin quello de’ frati fosse riconosciuto vorrebbero indurlo da documenti autentici, ove trovansi soscrizioni, «Ego Petrus, filius domini Stephani monachi: Ego Sergius, filius domini Johannis monachi: Ego Joannes, filius domini Petri monachi.... (alle pagine 10, 21, 40, 46 della Sylloge de’ Monumenti del grande archivio di Napoli), Ma ciò può riferirsi a persone monacatesi dopo vedovate. Il Concilio di Melfi nel 1059 limitò il matrimonio de’ preti: dopo il Concilio romano del 1072 fu proibito. Nelle consacrazioni dei vescovi prescriveansi norme intorno all’ordinare conjugati: e l’arcivescovo Alfano nel 1066, consacrando il primo vescovo di Sarno, gli indiceva «ne bigamum, aut qui virginem sortitus non est uxorem, ad sacrum ordinem permittat accedere; et si quos hujusmodi forte reperit, non audeat promovere». Ughelli, Italia sacra, tom. VII, pag. 571. Barbato arcivescovo di Sorrento, nel 1110 ordinando Gregorio vescovo di Castellamare, dicea: «Eique dedimus in mandatis ne nunquam ordinationem præsumat facere illicitam, nec bigamum, aut qui virginem non est sortitus uxorom, neque iliiteratum.... ad sacrum ordinem permittat ascendere». Id., tom. VI, pag. 609, ediz. Venezia, 1721. Tutto ciò poteva riferirsi a vedovi, e tale disciplina è seguita oggi pure, non ordinandosi chi fosse stato bigamo vero, cioè marito successivo di due donne, o bigamo similitudinario, cioè marito d’una vedova.