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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/175

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appendice d 165


Gli offesi strillarono; rinfacciarono ai nostri che verun lombardo di quei che andavano per la maggiore, avea concorso; che de’ concorrenti erasi

    uno dei più felici parlatori, e raccontava vivacissimamente un’infinità d’aneddoti sopra i letterati nostrali e avveniticci, che avea conosciuti nella lunga sua vita. Io l’eccitai più volte a stendere le sue Memorie, che sarebbero valse ben meglio de’ suoi romanzi. Ho molte lettere sue, da cui levo alcune particolarità appunto di battibecchi letterarj.
    — Nel 1809 dovei scrivere l’orazione d’apertura agli studj in una notte, perchè Elisa granduchessa la volle in italiano. Le piacque, e mi disse la sera ad una conversazione il granscudiere che la stampassi e gliela dedicassi. Nella lettera che precede la consigliai di dar opera alla formazione d’un nuovo Vocabolario italiano. Le piacque il consiglio: ne commise un rapporto, che io composi di concerto col suo secretano e il dottore Anguillesi, impiegato nella sua secreteria. Il rapporto andò al ministro Montalivet: egli sentì Ginguené e Botta, e l’imperatore ordinò 1° la ripristinazione della Crusca in Firenze per formare il Vocabolario; 2° stabilì un premio di 20,000 franchi annui da darsi in Firenze a un’opera d’un merito superiore o in poesia o in prosa; in mancanza di essa, ordinò che si dividesse il premio in tre parti: due per due opere in versi, una per una in prosa. La granduchessa aprì subito il concorso, e prima della nomina definitiva dei dodici membri della Crusca, elesse una Commissione, composta del Mozzi presidente dell’Accademia fiorentina, Fiocchi peritissimo nella lingua, Zannoni bibliotecario della Magliabechiana, Lessi e Baldelli assai istrutti, e Furia bibliotecario della Laurenziana. Sessanta furono le opere mandate al concorso. Le due di maggiore importanza erano L’Italia avanti i Romani del Micali, e La Storia d’America del Botta: ma nessuna delle due fu giudicata degna del premio intero. In questo venne a Firenze il Bossi, colle istruzioni di riferire alla conversazione del Paradisi, la quale aveva già stabilito di far sì che il premio di 20,000 franchi fosse dato per distribuirsi all’Istituto di Milano, e aveano concertato che, qualunque fossero le opere, avrebbero fatto la guerra ai giudici e premiati.
    «Io intanto aveva scritto il canto delle Nozze di Giove e Latona e mandato al Monti, come da scolaro a maestro, e più come al compare di mia figlia, perchè me ne dicesse il parer suo; e intanto avea scritto il 2°, 3° e 4° canto che mandai al concorso. Il Bossi tornò da Firenze, ed annunziò il nome dei tre premiati, Micali, Niccolini ed io, all’unanimità. Il Monti (chi lo crederebbe?) diede l’esemplare del 1° canto al Lampredi, dichiarato Argillano di quella rivolta, per farlo strapazzare in una gazzetta: e non contento di ciò, sapete come ne scrisse al Tambroni. Il bello però fu che il Lampredi, in Milano e sempre ai crini del Monti, biasimava il principio,

    Era già cheto il rimbombar del tuono,

    non ricordandosi il principio della Bassvilliana,

    Già vinta dell’inferno era la pugna.

    «Il Lampredi scrisse un libretto senza senso comune; quindi tre articoli nel Po-