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Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.2.djvu/199

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appendice d 189

diando però ogni dipendenza dalle viste di stampatori, ogni relazione d’interesse.

Non si venne a capo di nulla, e dopo d’allora si sa quanti Dizionari comparvero, e quanti ingegni logorarono nell’andar a caccia di parole e frasi nuove. L’Istituto Veneto, che dopo il 1838 formò un Corpo distinto dal Lombardo, nel 1846 nominò una Commissione che con spogli di classici supplisse alle mancanze de’ più recenti Dizionarj; e stampò una prima messe di giunte nel 1852, poi nuove giunte nel 1855; oltre gli studj filologici e lessicografici del dottor Giovanni Domenico Nardo (Venezia, 1856).

L’Istituto Lombardo non ebbe duopo dì ciò, perchè nel suo seno trovavasi chi da solo finiva un compito, al quale non basterebbe nessuna Commissione. Il Monti, se pure una dottrina certa può cavarsi dalle continue contraddizioni del suo libro, e dal costante divario tra lo scrivere suo e le sue teoriche, diceva che una nazione dee avere un linguaggio a tutti comune: tale non può esser il parlato, perchè ogni paese ha un particolare dialetto: dunque è forza sia il linguaggio scritto, posto sotto le leggi di una grammatica generale, invariata, uniforme. Giovanni Gherardini sosteneva i canoni stessi, e fu lodato di liberale perchè opponevasi ad una tirannia, qual era quella che diceasi esercitata dalla Crusca. Così profanasi questo sacro nome di libertà anche in materie più rilevanti.

Per verità, non la Crusca, non un uomo, non l’etimologia sono i dittatori della lingua, bensì l’uso1: e chi portava opinione diversa dai predetti andava a molto maggior libertà, vale a dire alla sovranità popolare. Molte innovazioni suggerì il Gherardini, e alcuna ragionevole; ma il tempo le sanzionerà? non certamente quelle che non derivano dal popolo, dall’uso. Se non che coloro che vogliono grande libertà nel fare, han bisogno di saldi teoremi su cui appoggiarsi; ed ecco perchè i miopi tacciano di servili e di pedanti coloro che si prefiggono di scrivere secondo l’uso toscano, anzi fiorentino.

Al qual effetto porgerà supremo ajuto l’Accademia della Crusca, qualora, senza abbandonare quella interminabile tela penelopea dell’andar in traccia di ciò che fu scritto (lavoro dove ogni privato e in qualunque paese può fare altrettanto, e trovarvi sempre nuove mancanze), si proponga di regalarci quello che sol da Firenze ci può venire, un Dizionario della lingua viva, dato coll’autorità di chi l’adopera tuttodì, necessariamente progressivo, e che forse oggi più che in qualsiasi altro tempo; oggi, dopo discussioni accannite, frivole, severe, epigrammatiche, e dopo sentiti i mali della incerta autorità; oggi che più cresce il bisogno di parlare al popolo, diviene necessario per togliere la sciagurata divisione in lingua

  1. Oltre quel che dell’uso vien detto così saviamente nella prefazione al Vocabolario della Crusca, i deputati sopra la correzione del Boccaccio, nelle annotazioni al c. 6, n° 10, diceano: “Del potersi o no, ovvero doversi usare una voce, può esser sicura regola e generale attenersi all’uso”.