Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/165

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quanto insuperabili... L’aiuto dei commenti, dal quale non è quasi mai disgiunta nessuna edizione della Commedia, se vale a rendere più o meno intelligibile il testo e i concetti danteschi ai volonterosi agli studiosi, agli appassionati, rende però la lettura faticosa e penosa per loro, e una vera via crucis per tutti quelli — e sono i più — che leggono a scopo di puro ricreamento; per quelli che sono desiderosi di apprendere i fatti, di conoscere i personaggi, di vedere i luoghi, e non si curano di questioni filosofiche, letterarie, teologiche: per quelli appunto ai quali Dante pensava scrivendo il suo libro. Il libro che io pongo in mano alla gioventù, al popolo anche, sta fra la versione in prosa e l’esposizione sommaria. Toglie il superfluo, l’algebrico per dir così il non bello: espone tutto il resto con dizione facile e piana; ne’ luoghi più eletti, colla dizione stessa del poeta voltata in prosa, rammodernata negli arcaismi.»

E così è. Un libro che può dilettare, ripeto, come una gran fiaba, o come qualcuno di quei vecchi romanzi cavallereschi di gesta e d’avventure. Le figure su questa superficie livellata spiccano tutte con un rilievo più marcato, con colori più vivi, con luci più sfavillanti; sia nell’inferno in cui paiono fusi insieme i geni di Michelangelo e di Shakespeare; nel Paradiso, arido e splendido; nel Purgatorio, nella più divina della cantiche dove non è più il dolore e non è ancora la gioia, dove la mestizia soave e blanda è nel verde, nei fiori, nei crepuscoli, nelle voci; dove è un sospirare e un desiderare umile e ardente — dove le donne che più hanno amato e pianto, e i cavalieri che più hanno perdonato e gli artisti che più hanno sofferto, lievi passano e si na-