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140 viaggio al centro della terra


«Forse che diventa pazzo? disse il professore.

— Che cosa c’è? diss’io risensando.

— Sei tu malato?

— No, ebbi un istante di allucinazione, ma è passato. Tutto va bene?

— Sì, buon vento, bel mare. Noi veleggiamo rapidamente e, se non erro, non tarderemo a toccar terra.»

A queste parole, mi levo in piedi e guardo all’orizzonte: – ma la linea delle acque si confonde sempre con quella delle nuvole.


XXXIII.

Sabato, 15 agosto. — Il mare conserva la suo monotona uniformità; non abbiamo alcuna terra in vista. L’orizzonte pare immensamente lontano.

Ho la testa tuttavia sbalordita dal mio sogno.

Quanto a mio zio, egli non ha sognato, ma è di malumore. Percorre tutti i punti dello spazio col cannocchiale e incrocia dispettosamente le braccia. Osservo che il professore Lidenbrock tende a ridiventare l’uomo impaziente d’una volta, e segno il fatto nel mio giornale. Ci vollero i miei pericoli e i miei dolori per strappargli qualche scintilla d’umanità; ma dopo la mia guarigione la natura ha ripreso il sopravvento. E poi, perchè adirarsi? forse che il viaggio non si compie nelle condizioni più favorevoli? forse che la zattera non naviga con meravigliosa rapidità?

«Mi sembrate inquieto, diss’io vedendolo spesso accostare il cannocchiale agli occhi.

— Inquieto? no.

— Impaziente, allora?

— Ne avrei ben donde.

— Nondimeno noi camminiamo con una velocità...

— Che m’importa? non è già che la velocità sia piccola, è il mare che è troppo grande!»

Mi sovvenni allora che il professore, prima della nostra partenza, aveva stimato la lunghezza di quest’oceano sotterraneo una trentina di leghe; ora avevamo