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memente d’un colore olivastro. I raggi elettrici possono appena passare la cortina opaca che nasconde il teatro in cui sta per esser rappresentato il dramma delle tempeste.

Io mi sento particolarmente impressionato, come è sulla terra ogni creatura all’approssimarsi d’un cataclisma.

I cumulus1 ammucchiati nel sud hanno un aspetto sinistro e serbano quell’apparenza spietata ch’io soventi volte ho notato nel principio degli uragani; l’aria è greve, il mare tranquillo.

In lontananza i nuvoli rassomigliano a grosse balle di cotone ammonticchiate in disordine; a poco a poco si gonfiano e perdono in numero ciò che guadagnano in grandezza. Il loro peso è tale che non possono staccarsi dall’orizzonte. Ma al soffio delle correnti elevate, si fondono a poco a poco insieme, si rincupiscono e si presentano in breve come uno strato unico di aspetto spaventevole. A volte un gomitolo di vapori ancora rischiarato rimbalza sopra quel tappeto grigiastro e si perde nella massa opaca. Evidentemente l’atmosfera è satura di fluidi. Io ne sono tutto impregnato: i capelli mi si rizzano sul capo come al contatto d’una macchina elettrica. Parmi che se i miei compagni mi toccassero in questo momento riceverebbero una scossa violenta.

Alle dieci del mattino i sintomi dell’uragano sono più determinati. Si direbbe che il vento si allenti per riprender vigore: la nuvola rassomiglia a un otre immenso in cui si accumulano gli uragani. Non vo’ già credere alle minaccie del cielo, e tuttavia non posso trattenermi dal dire:

«Ecco un cattivo tempo che si prepara.»

Il professore non risponde: il vedere l’oceano prolungarsi indefinitamente dinanzi a’ suoi occhi lo rende d’umore insopportabile. Alle mie parole non fa che stringersi nelle spalle.

«Avremo un uragano, dico, indicando l’orizzonte. Quelle nuvole si abbassano sul mare come per schiacciarlo!»

Silenzio generale. Il vento tace; la natura sembra morta e non respira più. La vela ricade in pesanti pieghe sull’albero alla cui cima incomincio a vedere un

  1. Nuvole di forma rotonda.