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viaggio al centro della terra 161

di frantumi petrosi, specie di ciottoli. arrotondati dalle onde ed ordinati in linee successive. Fui adunque portato a fare questa osservazione, che il mare dovesse un tempo occupare quello spazio. Sulle roccie sparse ed ora lontane, i flutti avevano lasciato evidenti traccie del loro passaggio.

Ciò poteva spiegare fino a un certo punto l’esistenza di quell’oceano a quaranta leghe sotto la superficie del globo. Ma, a parer mio, la massa liquida doveva perdersi a poco a poco nelle viscere della terra e proveniva evidentemente dalle acque dell’oceano, che si aprirono il varco attraverso qualche crepaccio. Per altro bisognava concedere che siffatto crepaccio fosse al presente otturato, perchè tutta quella caverna, o meglio quell’immenso serbatoio, si sarebbe riempito in un tempo piuttosto breve. Fors’anche quell’acqua, dovendo lottare contro-fuochi sotterranei, s’era in parte evaporata. Da ciò la spiegazione delle nuvole sospese sul nostro capo, e lo sviluppo di quella elettricità che creava tempeste nell’interno della massa terrestre.

Questa teorica dei fenomeni di cui eravamo stati testimoni, mi pareva soddisfacente, perocchè, per quanto grandi sieno le meraviglie della natura, sono sempre spiegabili con ragioni fisiche.

Noi camminavamo sopra una specie di terreno sedimentare, formato dalle acque al pari di tutti i terreni di questo periodo, così largamente distribuiti alla superficie del globo. Il professore esaminava attentamente ogni interstizio della roccia. Se esisteva una fessura era per lui cosa importantissima scandagliarne il fondo.

Per un miglio avevamo costeggiato le spiaggie del mare Lidesbrock, quando il suolo mutò improvvisamente d’aspetto. Pareva lacerato e sconvolto dal sommovimento degli strati inferiori; in molti luoghi avvallamenti e sollevamenti attestavano una dislocazione poderosa della massa terrestre.

Avanzavamo difficilmente sovra quelle fratture di granito, mescolato di silice, di quarzo e di depositi d’alluvioni, quando all’improvviso apparve ai nostri occhi un campo, meglio che un campo una pianura di ossami. Lo si sarebbe detto un immenso cimitero, in cui le generazioni di venti secoli confondessero la loro polvere eterna. Si schieravano a mucchi elevati in lontananza, ondulavano fino ai confini dell’orizzonte e vi si smarrivano in