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viaggio al centro della terra 169

una legione di serpenti; udivo il rumore delle loro lunghe zanne il cui avorio scavava i vecchi tronchi. I rami scricchiolavano e le foglie strappate a mucchi enormi s’inabissavano nella vasta gola di quei mostri. Infine dunque quel sogno in cui avevo veduto rinascere tutto il mondo dei tempi preistorici, delle epoche ternarie e quaternarie, si avverava. E noi eravamo là soli, entro le viscere del globo, alla mercè de’ suoi feroci abitatori. Mio zio guardava.

«Andiamo, diss’egli d’un tratto afferrandomi il braccio; avanti, avanti!

— No, gridai, no! siamo senz’armi; che faremmo noi in mezzo a quel gruppo di quadrupedi giganteschi? Venite zio, venite; non v’ha creatura umana che possa sfidare impunemente quei mostri.

— Nessuna creatura: umana? rispose mio zio abbassando la voce; t’inganni, Axel guarda laggiù; parmi di vedere un essere vivente, una creatura simile a noi — un uomo!»

Guardai stringendomi nelle: spalle, determinato a spingere l’incredulità fino agli ultimi limiti. Ma mi convenne pure arrendermi all’evidenza. A meno d’un quarto di miglio, appoggiato ad un kauris enorme, un essere umano, un Proteo di quelle contrade sotterranee, un nuovo figlio di Nettuno, governava l’innumerevole gregge di mastodonti!

Immanis pecoris custos, immanior ipse!

Sì! immanior ipse! non era più l’uomo fossile di cui avevamo incontrato il cadavere nell’ossario, ma un gigante capace di comandare a quei mostri. La sua statura passava i dodici piedi, la sua testa grossa come quella d’un bufalo spariva nel cespuglio d’una capigliatura incolta – una vera criniera, simile a quella dell’elefante dell’età primitiva. Brandiva colla mano un ramo enorme, degna verga d’un pastore antidiluviano.

Eravamo rimasti immobili, stupefatti. Ma potevamo essere veduti. Conveniva fuggire.

«Venite, venite,» esclamai, trascinando mio zio, il quale per la prima volta lasciò fare.

Un quarto d’ora dopo eravamo lungi dalla vista di quello spaventevole nemico.

Ed ora che ci penso tranquillamente, ora che la calma