Vai al contenuto

Pagina:Jules Verne - Viaggio al centro della Terra, Milano, Treves, 1874.djvu/189

Da Wikisource.

viaggio al centro della terra 181


XLII.

Suppongo dovessero essere allora le dieci di sera. Il primo senso che entrò in funzione, dopo l’ultimo assalto, fu l’udito. Intesi subito, e fu un atto di vera audizione, intesi il silenzio succedere nella galleria ai muggiti che da molte ore intronavano le mie orecchie. Alla fine queste parole di mio zio mi giunsero come un murmure:

«Risaliamo...

— Che intendete dire? esclamai.

— Risaliamo, risaliamo.»

Stesi il braccio, toccai la muraglia; la mia mano fu rotta a sangue. Risalivamo con estrema rapidità.

«La torcia, la torcia!» gridò il professore.

A gran fatica Hans riuscì ad accenderla; la fiamma mantenendosi dal basso in alto nonostante il movimento d’ascensione gettò abbastanza luce per rischiarare tutt’intorno.

«È appunto ciò che io pensava, disse mio zio; siamo in un pozzo stretto che non ha quattro tese di diametro. L’acqua, giunta in fondo all’abisso, ripiglia il suo livello e ci porta in alto con essa.

— Dove?

— Non so, ma bisogna tenerci pronti a qualunque evento. Noi risaliamo con una velocità ch’io stimo di due tese al secondo, ossia di centoventi tese al minuto, più di tre leghe e mezzo all’ora; di questo passo si fa molto cammino.

— Sì, se nulla ci arresta e se il pozzo ha un’uscita! Ma s’esso è chiuso? se l’aria si comprime a poco a poco sotto la pressione della colonna d’acqua? Se noi stiamo per essere schiacciati?

— Axel, rispose il professore con voce severa, la situazione è quasi disperata; ma vi hanno alcune probabilità di salvezza e sono quelle che io esamino. Se ad ogni istante possiamo perire, ad ogni istante pure possiamo essere salvati. Poniamoci dunque in grado di profittare dei più piccoli incidenti.

— Ma che fare?