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viaggio al centro della terra 19


«Il signore, cenerà questa sera?»

Però Marta dovette andarsene senza risposta.

Dal canto mio, dopo d’aver resistito per qualche tempo fui preso da un sonno invincibile; mi addormentai sul canapè mentre mio zio Lidenbrok calcolava, cancellava senza riposo.

Quando mi destai, la domane, l’infaticabile lavoratore era ancora all’opera. Gli occhi arrossati, il colorito pallido, i capelli attorcigliati fra le dita, i pomelli delle guancie imporporati rivelavano la sua lotta tremenda coll’impossibile, e in quali fatiche dello spirito, e in quale tensione di cervello le ore fossero passate per lui.

Davvero n’ebbi pietà e, nonostante i rimproveri ch’io mi credeva di fargli, una certa commozione mi vinceva. Il pover’uomo era così invasato dalla sua idea che dimenticava di andare in collera; tutte le sue forze vive si concentravano in un punto solo; siccome non sfuggivano per la loro ordinaria uscita, si poteva temere che la loro tensione non lo facesse scoppiare da un momento all’altro.

Potevo con un solo gesto disserrare la morsa di ferro che gli stringeva il cranio, con una parola sola! e non lo feci!

Pure avevo buon cuore. Perchè mai rimasi muto in simile occorrenza? Nell’interesse stesso di mio zio.

«No, no, ripetei, no, non parlerò! egli vorrebbe andarvi, io lo conosco, nulla potrebbe arrestarlo; ha un’immaginazione vulcanica, e sol per fare ciò che altri geologhi non hanno fatto, arrischierebbe la vita. Tacerò, serberò questo segreto di cui il caso mi ha fatto padrone; scoprirlo sarebbe tutt’uno come uccidere il professore Lidenbrok! ei lo indovini se può, ma io non voglio già avermi a rimproverare un giorno d’averlo condotto alla sua perdita!

Com’ebbi risoluto ciò, incrociai le braccia ed attesi. Ma io aveva contato senza un incidente che avvenne alcune ore dopo.

Quando la buona Marta volle uscir di casa per andare al mercato trovò chiusa la porta. La grossa chiave non era nella toppa; chi l’aveva tolta? Mio zio evidentemente quando rientrò alla vigilia dopo la sua passeggiata precipitosa.

L’aveva egli fatto apposta? Era sbaglio? Voleva egli sottometterci ai rigori della fame? La cosa mi parve molto grave; come mai Marta ed io dovevamo esser vit-