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36 viaggio al centro della terra

alla capitale di Danimarca. Mio zio non aveva chiuso occhio in tutta la notte, ed io credo che nella sua impazienza egli spingesse il vagone coi piedi.

Finalmente vide un braccio di mare:

«Il Sund!» esclamò.

Vi era alla nostra sinistra un vasto edifizio che somigliava ad uno spedale.

«È un manicomio, disse: uno de’ nostri compagni di viaggio.

— Ecco, pensai, uno stabilimento in cui noi dovremo finire i nostri giorni! e per quanto grande egli fosse questo spedale sarebbe ancora troppo piccolo per contenere tutta la pazzia del professore Lidenbrock.»

Finalmente alle dieci del mattino noi scendemmo a Copenaghen; i bagagli furono collocati sopra una carrozza e trasportati con noi all’albergo della Fenice, in Bread-Gale. Fu affar d’una mezz’ora, poichè la stazione è posta fuori della città. Come mio zio ebbe fatta una toletta sommaria, mi trascinò dietro di sè. Il portinaio dell’albergo parlava tedesco ed inglese, ma il professore nella sua qualità di poliglotto lo interrogò in buon danese e fu in buon danese che questo personaggio gli indicò la situazione del Museo delle antichità del Nord.

Il direttore di questo curioso stabilimento, dove sono ammucchiate meraviglie che permetterebbero di ricostrurre la storia del paese, colle sue vecchie armi di pietra, colle sue tazze e coi suoi gioielli, era un dotto, l’amico del console di Amburgo, il professore Thomson. Mio zio aveva per lui una lettera di raccomandazione. Per regola generale uno scienziato non fa molto buon viso a un altro scienziato, ma qui avvenne altrimenti. Il signor Thomson, da uomo offizioso, accolse cordialmente il professore Lidenbrock ed anche suo nipote. Dire che il nostro segreto fu serbato in faccia all’eccellente direttore del Museo, è cosa appena necessaria. Noi volevamo semplicemente visitare l’Islanda da dilettanti disinteressati.

Il signor Thomson si dichiarò tutto a nostra disposizione, e noi percorremmo il molo cercando una nave in partenza. Io sperava di non trovarne, ma non fu così. Una piccola goletta danese, la Walkyrie, doveva spiegare le vele il 2 giugno alla volta di Reykjawik. Il capitano, il signor Bjarne, si trovava a bordo, e il suo futuro passaggiero, ebbro di gioia, gli strinse le mani, come se volesse spezzarle. Il brav’uomo fu alquanto me-