Pagina:Jules Verne - Viaggio al centro della Terra, Milano, Treves, 1874.djvu/78

Da Wikisource.
70 viaggio al centro della terra


Poi, esaurita l’eruzione basaltica, il vulcano, la cui forza si accrebbe di quella dei crateri spenti, diede passaggio alle lave ed ai quei tufi di ceneri e di scorie di cui io vedeva i lunghi canali sparsi sui suoi fianchi come un’opulenta capigliatura.

Tale fu la successione dei fenomeni che costituirono l’Islanda; tutti derivavano dall’azione dei fuochi interni, per modo che supporre che la massa centrale non fosse in uno stato permanente di incandescente liquidità, era follia; e sopratutto follia pretendere d’arrivare al centro della Terra!

Così io m’andava rassicurando sull’esito della nostra intrapresa, pur movendo all’assalto dello Sneffels.

La strada si faceva sempre più difficile, il terreno saliva, i frammenti di roccie si staccavano, e ci voleva una scrupolosa attenzione per evitare cadute, pericolosissime.

Hans si avanzava tranquillamente come sopra un terreno liscio; talvolta spariva dietro i grandi macigni e lo perdevamo di vista un istante, ma un fischio acuto ch’egli faceva colle labbra, indicava la direzione da seguire.

Soventi volte egli si arrestava, raccoglieva alcuni frammenti di roccia e li disponeva in maniera di riconoscerli e da formare degli indizii destinati ad indicare la strada del ritorno; precauzione buona per sè stessa, ma che gli avvenimenti futuri resero inutili.

Tre faticose ore di cammino ci avevano portato non più oltre della base della montagna. Quivi Hans fe’ segno di arrestarci, ed una parca colazione fu divisa fra tutti. Mio zio faceva bocconi doppi per far più presto, ma questa sosta di refezione era ad un tempo sosta di riposo, ed egli dovette attendere il beneplacito della guida, la quale diè il segnale della partenza un’ora dopo. I tre Islandesi, non meno taciturni del loro camerata il cacciatore, non dissero verbo e mangiarono sobriamente.

Cominciavamo ora a salire l’erta dello Sneffels. La sua vetta nevosa, per un’illusione ottica frequente nelle montagne, mi pareva vicinissima e tuttavia quante lunghe ore prima di raggiungerla! e qual fatica! le pietre non trattenute da alcun cemento di terra o di erba franavano sotto i nostri piedi e rotolavano alla pianura colla rapidità d’una valanga. In certi punti i fianchi della montagna facevano coll’orizzonte un angolo di 36° per lo meno; era impossibile arrampicarsi, per modo che ci conveniva girare, non senza difficoltà, queste erte petrose. In que-