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98 del sublime e del bello

sta sua assertiva oppone una folta di bianchi, che parevano esser ritenuti dal loro nascimento negli ultimi posti della società, e che ne uscirono mercè la sola forza delle loro qualità native; tanta è omai distinta la differenza tra queste due specie d’uomini1. Esse non si allontanano meno, una dall’altra, sotto il rapporto delle facoltà morali che sotto quello del lor colorito. Il culto delle fettisci, cui questi popoli vanno soggetti, è una sorte di sì deplorabile idolatria, che ricade al di sotto di quell’ultimo grado di ridicolo, di cui altri non oserebbe, nemmeno idealmente, d’insozzare l’umana natura. Una piuma d’uccello, un corno di vacca, una conchiglia, od ogni altra bagattella egualmente da nulla, divengono per essi oggetti di venerazione, e da che sono state consacrate da sciocche parole son prese a testimonio, sotto fede di giuramento. Assai vanitosi sono i negri, a lor modo però, cioè per pochissima cosa; e parlasi al modo che il timor del gastigo può solo impor fine al lor cicalare.

Fra tante razze che non hanno ancora avuto il bene di partecipare ai benefizj della civilizzazione, quella dell’America settentrionale, presentasi senza dubbio col carattere lo più elevato. Talmente possente è in questi popoli il sentimento dell’onore, che, senza altro progetto che di acquistar gloria in sempre perigliose avventure,

  1. Quì e da Hume e da Kant è ben maltrattata la razza dei Negri, al pari che da Virey e da altri. Chi però voglia persuadersi del contrario legga Gregoire Licterature des Negres. E presentemente trovasi a Calcutta una dottissima negra socia di varie accademie. (Il traduttore)