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e non più oltre: — senza riguardo alla plaga a cui battano le sue onde? — Si badi bene, si tratta ad ogni modo di un massimo, sotto cui i prezzi possono muoversi a loro beneplacito: la munificenza imperiale ne fa loro comodità!
E se pur aveasi buona l’uniformita nello spazio, e perchè no, a ragion di logica, anche nel tempo? Perchè rifuggire dal decretare la meta siccome unica per tutte le provincie, e del pari siccome invariabile e perenne per tutte le età, ossia (che è poi il medesimo) tanto che non piaccia per sovrana benevolenza mutarla?
E così fu. — Chi ebbe a scrivere che il merito massimo, od anche talvolta il diffetto, dei giureconsulti romani abbia consistito nel rigore della loro logica, chi sa se non avrebbe alla perfine riscontrato la stessa tempera anche in Diocleziano. — A questo punto almeno, egli non mostrava aver più nulla di quello scrupolo e di quella apprensione che più sopra notavasi.
Nè il caso potea dirsi assolutamente senza esempio. — È vero che, a quanto sembra, i prezzi delle cose rimasero ordinariamente liberi nel mondo romano, ma dalla legge delle XII Tavole in poi, quella merce universale che è il danaro avea tariffa uniforme senza riguardo a spazio e circostanze, nonchè senza grandi divarii nel tempo: e la cosa non mutò sostanzialmente nemmeno nei sedici secoli che decorsero da Diocleziano a’ giorni nostri. — Tassare l’uso del denaro, l’usura, come si dice, egli è pur un tantino aver la pretesa di tassare tutte le cose venali. E Diocleziano alla sua volta, tassando con certa norma i prezzi monetarj di tutte le cose venali, che veniva egli a fare inversamente se non a tassare il valore, la potenza d’acquisto della moneta essa medesima? — La era virtualmente una vera tariffa monetaria quella sua, tariffa reale, a ragione di cose e prodotti, anzichè semplicemente da specie a specie, come le tariffe monetarie solite.
Adunque una sola legge, un solo massimo per tutto l’Impero, quanto esso era vasto; e quel massimo, decretato invariabile, scolpito in bronzo ed in marmo, a perenne universale statuto, nelle due lingue sovrane del mondo romano, la lingua latina e la greca. Ed è in questa duplice forma, si disse, e per merito di siffatto intendimento, che riescì a preservarsi e che fu scoperto l’editto, a delizia degli eruditi e degli economisti.
L’Impero, all’apogeo de’ suoi limiti, stendevasi allora dall’Atlantico al Tigri, dal grande Deserto africano al mar di Germania, esso racchiudeva nel suo seno, come un lago veracemente