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Pagina:L'ombra del passato.djvu/102

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98 l'ombra del passato


— Tutte palanche? E come son vecchie! Sembrano monete del tempo dei Faraoni. E che tua zia ha i suoi tesori tutti in palanche?

Adone non sorrise, non arrossì: non disse che la piccola somma gli apparteneva, raccolta pazientemente soldo per soldo, da mesi e mesi, e che aveva sognato di poter viaggiare attraverso il mondo munito di quel piccolo tesoro. Dieci per dieci contò i soldi, fino a quaranta.

— Basta, basta! Bene, bene! — disse il maestro, dandogli indietro dieci soldi.

Ed egli mise in tasca le care palanchine, pensando al modo di farle moltiplicare ancora. La scatolina la regalò al maestro, in segno di riconoscenza.

— Anche io ho uno zio a Roma, — disse al biondino, seguendo il fiio dei suoi segreti pensieri.

— Quello lì è buono, sì! Un giorno o l’altro, se mi pare, vado a trovarlo. È ricco, sai, è impiegato: è anche cavaliere.

— E i soldi per il viaggio chi te li dà? — domandò l’altro, invidioso.

— Eh, lo so io! C’è una persona che sempre mi manda di nascosto a vender le uova e altre cose, e mi dà sempre qualche soldo.

— E chi è questa persona?

Adone non pronunziò il nome di Carissima, la quale prendeva spesso le uova dal pollajo di Tognina e il frumento dal sacco di Pirloccia: no, aveva giurato il segreto, e non poteva parlare.

— Che t’importa? Una persona!