Pagina:La Vita Ai Tempi Eroici Di Persia, Uffizio della Rassegna Nazionale, 1885.djvu/22

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20 LA VITA

la corona e uccidergli il figlio Surkheh e appenderlo a un tristo legno e vendicar la morte di Siyàvish che Afràsyab aveva ucciso a tradimento.

Ottenuta vittoria, egli ritornava alla reggia, laddove il re soleva riceverlo con parole benaugurose e con meritate lodi, cinto di tutta la pompa del suo alto grado. Rustem rispondeva a quelle lodi affermando che se l’impresa sua aveva avuto un lieto fine, ciò dovevasi attribuire alla grazia di Dio che dà forza ai suoi campioni, e alla maestà di sì gran re. Celebravasi allora un lauto banchetto, e Rustem sedeva accanto al suo signore, mentre i principi all’intorno andavano a gara nel fargli onore, e giovinetti e giovinette dinanzi a lui intrecciavano vaghe danze e, lui presente, cantavano le sue geste meravigliose. Erano danze mimiche e figurative, e il canto, cosa degna d’esser notata, facevasi in metro eroico, mentre l’accompagnavano armoniosi accordi di flauti e di ribebe. Alla fine del convito, l’eroe ebbro tra gli altri ebbri, con tutta pompa era accompagnato ad un’apposita stanza; ma il convito ripetevasi per sette giorni ancora e poi per altri sette, finchè l’eroe chiedeva licenza di partire.

Il re dei re doveva allora degnamente ricompensare il suo nobile campione, e il poeta suol fermarsi con compiacenza ad ogni occasione per enumerare i ricchissimi doni che quel prode riceveva dal suo signore. Erano corone ingemmate, monili, collane e braccialetti, elmi cristati, spade con guaina d’oro, corazze greche, targhe del Ghilàn, nappi d’oro pieni di turchesi, di rubini del Badakhhan, di smeraldi, di muschio, di agalloco, di essenza di rose, di profumi di fiengreco, e poi troni d’avorio, selle, gualdrappe irte di fiocchi, sportelle di monete, palafreni arabi, giovinetti schiavi, fanciulle di Tiràz e finalmente una veste imperiale ricamata a gemme ed oro e un regio editto con cui gli si dava l’investitura di nuovi feudi e di nuove terre. Rustem allora, baciato il suolo a piè del trono, mentre qualche volta il re soleva accompagnarlo per un certo tratto di via, coi ricchissimi doni ritornava alla sua terra del Nimrùz, tra le braccia de’suoi vecchi genitori.

Senonchè contro il tempo e contro la morte non hanno alcun potere il valore del braccio e la costanza della virtù. Il fato, dice il poeta, è un astuto giocoliere, ma tristo è il giuoco che esso ti fa, nè alcuno quaggiù vi si può sottrarre. Perciò, quando giunge il tempo designato, anche il re dei re doveva discendere dall’altezza del suo trono, e il nobile guerriero che aveva combattuto per il suo re e per la sua terra, doveva abbandonar per sempre il giuoco del-