Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
148
già per isvista, come sappiamo, a un fiore di
uomo e di pòvero, se n’era tosto, con una querela
di solenne impotenza, sbrigata, per dar
l'ùltimo crollo ad un vecchio, cârco di colpe
e milioni e per rimanere di questi, in un medèsimo
tempo, sposa, vèdova, erede. Fu allora
come lo scoppio di una polveriera. Sfolgorante
di gioventù e di bellezza, con un diàvolo di lussuria
per capello, col patrocinio di un nome illustrìssimo
e una ricchezza che ogni virtù poteva
comprare e scusare ogni vizio, Elda, sfondato
il cerchio di carta dei pregiudizi, si credè
tutto permesso. Né ella era di quelle delicatine,
che intrattèngono amanti, come l’analfabeta terrebbe
biblioteche, per pura ostentazione, o di
quell'altre, che pur leggèndone qualche pàgina,
fanno ciò con riguardi e col batticuore, timide
sfacciatelle dai baci a mezza bocca e dagli abbracci
flosci, e neanche di quelle che si fan
strapregare per quanto hanno uzzolo, o pigliano
sempre non dando mai, o vogliono (che è peggio
ancora) passare per peccatrici senz’esserlo.
Elda invece lo era franchissimamente, in piena
buona fede, nella maggiore estensione del tèrmine.
Tenèa fame di uomo, come altri di cibo.
Al solo odore di maschio entrava in furore come
una gatta ai profumi. Aborria qualunque rettòrica
lungherìa, qualunque circonlocuzione pudica,
qualunque vergogna, eccetto quella di castità;
diciamolo anzi, èrale odioso una sola spece
di amore, l’amor senza scàndalo. Chi non mi