Pagina:La desinenza in A.djvu/220

Da Wikisource.

— 168 —



lito. Clara è rapita nelle membra formose del Salvatore e gemendo ne conta le piaghe, le lividure, gli allentatisi mùscoli. A poco a poco, un divino sbigottimento la stringe; palpitale il cuore, come al beato Filippo, a scoppiarle. L’allucinazione è completa. La pupilla del Cristo si è inumidita, e l’amoroso suo fàscino posa, insiste su lei, sembrano anzi le pieghe fumare, sembra la vita riguizzar sotto pelle, mentre le pàllide labbra si ricòlman di sangue e tra le labbra già s’intravede con il candore dei denti, la più desiata parola. E Gesù protende le braccia. Il pannolino si erge. Clara cade in deliquio.

Quando rinsensa, è nella sua cella, sul letto. Può ancora il volto di lei rassomigliarsi alla neve, ma a neve con l’impronta del piede. Le si apportò un canestrino di cibi, ebbe nausee; le offersero sperditrici misture; indignata le rifiutò. Ma la celletta si disadorna. Scompàjono i pochi amici di Clara... la baciatissima imàgine della sua Santa, il Gesù-bimbo di cera, i secchi suoi mazzolini — fiori di primavere che non torneranno mai più, inutilmente adaquati dalla rugiada del pianto — la catinella stessa di latta, che ella gioiva di tenere sì tersa per ispecchiàrvisi. E la celletta s’è dal di fuori barrata. Clara non può veder che da lungi i favoriti luoghi del suo vaneggiare... e quel cortiletto profondo, dai glàuco-oliva riflessi, dove piange la luna con si amorosa tristezza e cresce l’erba, infalciata, attorno un pozzo col secchiolino, in-