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CAPITOLO XIII. — Lo schiavo di Elenka.

Hicks pascià, appena vide entrare O’Donovan e i suoi compagni, mosse sollecitamente a loro incontro con un sorriso bonario sulle labbra. Salutati militarmente i due ufficiali basci-bozuk che gli restituirono spigliatamente il saluto, strinse vigorosamente la mano che il reporter gli porgeva.

— Dove diavolo siete stato fino ad ora? chiese gaiamente il generale. Sono sei giorni che non vi fate vedere nella mia tenda, amico caro, e cominciavo a temere che vi fosse accaduta qualche disgrazia.

— Non ancora, generale, disse O’Donovan, sorridendo. Ho fatto una escursione agli avamposti per vedere come vanno le faccende.

— E che avete veduto?

— Ho trovato innanzi a tutto questi due ufficiali che conobbi a Chartum e che venivano appositamente in cerca del vostro esercito per arruolarsi. Vogliono combattere contro le orde del Mahdi.

— Ah! fe’ il generale, fissando attentamente i due falsi ufficiali. Voi siete venuti appositamente per combattere contro i ribelli?

— Sì, generale, disse Fathma

— Da dove venite?

— Dal Bahr-el-Abiad.

— Avete incontrato dei ribelli dietro via?

— Ci hanno inseguiti dieci o dodici volte.

— Avete avuto un bel coraggio, amici miei, e una bella costanza per raggiungere il mio esercito attraversando un paese sollevato a rivolta. Ah! voi volete battervi? Vi batterete e presto.

— Si fa partenza forse? chiese O’Donovan.

— Fra qualche giorno, rispose il generale, diventando d’un tratto pensieroso. Sapete, O’Donovan, che noi ci troviamo in una posizione che può chiamarsi disperata? Se noi non entriamo più che in fretta in El-Obeid, corriamo il pericolo di terminare la campagna con una catastrofe.