Pagina:La fine di un regno, parte III, 1909.djvu/64

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plicità o scienza almeno dell’attentato; ed in ogni caso per i nostri principi eravamo creduti meritevoli di esser tenuti al sicuro da una polizia, che per mezzo del commissario De Spagnolis, mandato in provincia di Cosenza, d’ordine dal re, aveva scrutinato la vita e gli antecedenti di tutti noi altri. Onde il De Spagnolis potè persino ricordare a me in un interrogatorio, avanti la commissione che ci giudicava, non solo la morte incontrata dal mio fratello maggiore Francesco Saverio a Campotenese nel 1848, perchè si rifiutò di gridare viva il Re, come gli fu imposto, ma mi rimproverava per sino alcune frasi di mie lettere giovanili dirette a compagni miei, che egli aveva avuto l’abilità di rintracciare e mettere in processo, e l’uccisione di mio nonno per mano dei sanfedisti nel 1809. E rimanemmo senza giudizio per quattro anni, ad arbitrio del re, che ogni sera si faceva trasmettere gli interrogatori nostri; rimanemmo fino al luglio del 1860. Fummo liberati non come gli altri prigionieri politici, ma in seguito a una grande dimostrazione popolare, la quale chiese la liberazione dei carcerati calabresi, come eravamo distinti noi altri detenuti in S. Maria Apparente: liberazione che Francesco II non voleva concedere, perchè a don Liborio Romano, che gliene faceva premura, rispose che noi non eravamo imputati politici, ma di regicidio. E dopo la scarcerazione, ci aspettava una carica di fucilate e di baionette al largo Carolino, da un picchetto di soldati comandati da un tal Potenza, il quale quando vide un torrente di persone scendere dal Grottone, e che eravamo noi carcerati di S. Maria Apparente, i quali con gli amici di Napoli e parenti che ci accompagnavano, formavamo una vera fiumana di gente, credendo che sì volesse assalire il palazzo reale, ordinò il fuoco e la carica alla baionetta. Io, che ero in prima fila, mi salvai, buttandomi a terra facendo il morto; fu ferito mortalmente il mio compagno a fianco Peppino Marchianò, che poi divenne segretario generale del R. Economato dei Benefici vacanti. Si salvò per vero miracolo, avendo riportato due ferite di baionetta che lo tennero per più mesi all’ospedale dei Pellegrini tra la vita e la morte. Cadde estinto un povero fruttivendolo.

Per debito di lealtà, come ho dichiarato innanzi al magistrato nel processo fatto a carico del comandante Potenza, devo dire che non giudicai premeditato l’attacco, ma invece effetto di equivoco e di paura. In quel giorno stesso fu dato fuoco dai popolani agli uffici di polizia nei bassi quartieri, e gli animi erano esaltati. . . .

Ti stringo la mano

Tuo aff.mo
G. Tocci.