Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/109

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sospetti. E i provinciali, esagerando alla lor volta, reputavano i napoletani imbroglioni e bugiardi, e ne stavano in guardia, ma non in guisa da sfuggire sempre alle trappolerie dei più audaci, e da non cader vittime di raggiri, molte volte esilaranti, soprattutto se le vittime erano ricclii preti, avidi di guadagni, o giovani inesperti, avidi di piaceri, o gabbamondi in busca di numeri al lotto. Il vero è che i napoletani ritenevano che la provincia fosse in obbligo di dar loro ciò che volevano, ed elevavano agli onori di semidivinità quei gonzi, i quali, scendendo nella capitale, privi di esperienza e di talento, si facevano portar via il patrimonio fra giuochi, donne e bagordi. Sarebbe divertentissimo un racconto delle tràstole, che si consumavano a Napoli e a Palermo, a danno dei provinciali.


La ricchezza territoriale era accentrata in poche famiglie, soprattutto nelle Calabrie, in Basilicata e in Capitanata. Tranne che in Terra di Lavoro, nel Barese e nel Leccese, non esisteva altra piccola proprietà, che quella della terra vignata intorno ai Comuni. Le famiglie veramente ricche non davano quasi altro impiego alla ricchezza, che acquistando ordinariamente altre terre. Vi era della vanità nel possedere grandi estensioni di terreno, messe poi a coltura estensiva di cereali e di ulivi, o non coltivate punto, ma solo tenute ad uso di pascolo anche per difetto di popolazione. Se questa abbondava in Terra di Bari e in Terra d’Otranto, nonché nelle provincie di Napoli, di Caserta e di Reggio, difettava, dove più e dove meno, quasi dappertutto. La mancanza di strade rendeva difficile l’equilibrio tra l’eccesso e la mancanza di popolazione, nelle varie provincie. La Sicilia interna ne era, e n’à anche oggi, inverosimilmente, sprovvista.

Molti possidenti di Puglia e di Calabria si erano venuti alienando dall’agricoltura. Davano in fitto le tenute, vendevano gli armenti e si ritiravano a Napoli, sedotti dalla vita dei signori. Ritirarsi a Napoli era pel possidente di provincia il più vagheggiato ideale, che fu largamente realizzato nei primi anni della rivoluzione, quando il brigantaggio rese malsicure le campagne. Gli affittuari e coloni, che coltivavano le terre, erano invece gente laboriosa, parca e avveduta, e vennero formando via via un nuovo ceto, senza i pregiudizii e le borie dei galantuomini.