Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/256

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si può andare avanti„. Si verificava questo caso curioso, che i retrogradi diventavano costituzionali, e i vecchi liberali, unitarii tutti. Giorni memorabili furono quelli, nei quali uno dei drammi più caratteristici, che la storia ricordi, si svolse nella Corte, nel governo e nell’animo stesso del Re, in preda alle più opposte correnti, ma rassegnato e quasi inconsapevole; dramma familiare e politico, che interessava non solo il Regno, ma tutta l’Europa, perchè tutta l’Europa aveva gli occhi su Napoli, sperando o temendo le varie nazioni che il fuoco rivoluzionario, comunicandosi dalla Sicilia al continente, mandasse in fiamme la dinastia e il Regno. De Martino parti la sera del 6, accompagnato dal generale Roberti, e questa compagnia diede luogo ad ameni commenti, perchè era noto che Roberti non sapeva una parola di francese. S’imbarcarono per Marsiglia sulla Saetta, e giunsero a Parigi il giorno 11.

De Martino era latore di una lettera autografa di Francesco II per Napoleone, e di un lungo dispaccio con documenti per Antonini e Thouvenel; nè più tardi del giorno successivo all’arrivo, 12, fu con Antonini ricevuto a Fontainebleau. Il Re e il ministero, intanto, sia per i fatti di Sicilia, sia per agevolare la riuscita della missione di De Martino, cominciarono a fare delle concessioni. Il 9 giugno uscirono da Santa Maria Apparente alcuni detenuti politici, fra i quali il noto avvocato Giuseppe Saffioti. E tre giorni dopo, il maresciallo duca Caracciolo di San Vito fu chiamato a sostituire, come direttore di polizia, l’Ajossa, licenziato in una forma, che fece a tutti molta impressione. La mattina del 12 giugno, andando infatti al ministero all’ora solita, trovò il suo posto occupato dal nuovo direttore. Si disse che il licenziamento di lui fosse opera di Brenier, e non è inverosimile. Ajossa non trovò un amico in quella occasione, la più triste della sua vita, nè, dopo di allora, occupò altri ufficii; e, mutati i tempi, andò a chiudersi in Calabria, nel suo borgo d’origine, dove si spense nell’oscurità nel 1876, dopo aver fatto tremare il Regno ed essere stato il terrore specialmente delle Provincie, da lui amministrate. In quei primi giorni della sua disgrazia era addirittura furioso. Il 16 giugno, incontrato Gaetano Filangieri, gli disse che l’ingratitudine dei Borboni era proverbiale, e che dopo vent’anni di servizio era stato trattato come Intenti e Del Carretto. Filangieri gli ri-