Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/346

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da bavaresi. Partì infatti; ma, giunto ad Auletta, fu richiamato, chi disse per riunirlo alle forze che si concentravano a Salerno, e chi affermò, per effetto di una lettera dell’Albini a Liborio Romano. La verità è, che, giunta la notizia che il reggimento era in marcia su Potenza, fu grande la commozione nella città, prevedendosi un eccidio e forse la fine dell’insurrezione, la quale disponeva di vecchie armi e di non molti armati. Il governo prodittatoriale fece quindi partire per Napoli, nella notte dal 20 al 21, Pietro Lacava, dando a lui, non una lettera, come si disse, ma la copia degli atti dell’insurrezione che il Lacava nascose in fondo alla vettura. E partì. Giunto in Auletta, si trovò in mezzo ai soldati bavaresi, che lo avrebbero fucilato, se fosse stata perquisita la carrozza. Lo salvò un vecchio prete chiamato Caggiano, il quale diè a credere agli ufficiali che quel giovane era figliuolo del giudice Baccicalupi, destituito dal governo insurrezionale. E fu così che il Lacava passò. Giunto a Napoli, andò subito da don Liborio, a casa, e gli espose la gravità della situazione e tutt’i pericoli di un eccidio, perchè il governo insurrezionale disponeva, come fece intendergli, di molte forze, e aveva il favore delle popolazioni di tutta la provincia. Don Liborio però non rispose e non promise nulla. Lacava non mancò d’informare di tutto anche i due Comitati, invocando il loro concorso per scongiurare il pericolo che correva la rivoluzione.


Intanto le forze insurrezionali si erano concentrate a Vietri di Potenza, a poca distanza da Auletta, ed avendo il colonnello Boldoni deciso l’attacco delle truppe borboniche per la notte dal 22 al 23 agosto, queste abbandonarono precipitosamente il campo e si misero in ritirata verso Salerno. Il 23, la cavalleria insurrezionale che le insegui, potè solo impadronirsi di molti carri della retroguardia, con vettovaglie e foraggi. Due giorni dopo furono richiamati da Eboli due reggimenti bavaresi, che vi avevano formato una specie di campo trincerato, e così rimase libero il passo alla rivoluzione fino a Salerno. Questa si allargò in tutta la Basilicata e si estese nella vicina provincia di Avellino, senz’altre difficoltà. Il traffico ordinario per quei luoghi era aperto e continuato, e senza veri pericoli, nonostante l’accampamento dei soldati borbonici. Da Napoli vi andavano ogni giorno volontarii e gente d’ogni colore, e a Napoli