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il nome di Comitato Nazionale Romano. Per quello ch’io mi sappia, dal 1853 fino al 1859 non si possono rimproverare alle persone le quali si succedettero in questo Comitato se non degli errori di mente. Le cose però dal 1860 in poi peggiorarono a tal punto da trasformare questo Comitato in una Sezione di Polizia del Regno d’Italia; e perchè non mancasse il correspettivo, non si ebbe il rossore di accettare un ragguardevole sussidio mensile, che ha durato finchè l’onestà del Ministro Lanza non lo fece togliere di mezzo. I lavori poi di questo Comitato non servivano ad altro che a dare un continuo contingente alle carceri Pontificie ed alla Emigrazione. Spesa per armi e munizione, nessuna.

Non è dunque a farsi meraviglia, se colle mie idee io mi trovassi subito in disaccordo cogli aderenti di questo Comitato, venuti anch’essi in emigrazione. Deciso a tentare ogni mezzo affinchè coloro, ch’io credeva in buona fede, volessero mettersi sulla buona via, io mi tenni sempre con essi in amichevoli rapporti; e nel 1862 credetti alla riuscita dei miei sforzi, quando in una riunione di emigrati romani tenutasi in Livorno, io venni incaricato alla unanimità di estendere un memorandum al Comitato Romano per le desiderate riforme. Lo spirito di consorteria — sopratutto per opera di quelli che vivevano allora nell’interno — rese il mio memorandum lettera morta.

Non mi scoraggiai però; e senza darmene per inteso continuai il mio assunto coi nuovi emigrati di questo Comitato, cui a me ripugnava il credere facessero solo questione d’interessi materiali e di consorteria. Cinque anni però di sotterfugi pur troppo me ne convinsero.

Verso la fine del 1866, venuto a cognizione per opera di amici, i quali si erano condotti a vivere in Roma, che questo Comitato era ivi diventato un mito, una fantasmagoria, detti opera a formare in Firenze un nu-