Pagina:La guerra del vespro siciliano.djvu/54

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38 la guerra [1268]

tori e re, dritto signore egli stesso di Sicilia e di Puglia, il dì ventinove ottobre del sessantotto, tratto era al patibolo in piazza di mercato a Napoli; seguendolo una funata di vittime, perchè più largamente si vendicassero gli sturbati ozi della tirannide. A paro a paro con esso veniva il duca d’Austria, statogli compagno amantissimo dall’infanzia: biondi ambo e gentili, impavidi nel sembiante, a fermo passo andavano al palco. Di porpora era coperto il palco, quasi a regia pompa; con torvi armati all’intorno; foltissimo il popolo in piazza; dall’alto d’una torre guardava quella tigre di Carlo. Salì Corradino, mostrossi, e lettagli in volto la sentenza che il chiamava sacrilego traditore, ne protestò nobilmente al popolo e a Dio. A queste parole susurrava la moltitudine un istante; e poi ghiacciata di paura tacque; stupida e scolorata affisò Corradino. Il quale nell’abbassar lo sguardo su quell’onda di spaventati volti infiniti, ghignò di amaro disprezzo, poi gli occhi alzò al cielo, e ogni terren pensiero depose. Lo scosse un colpo: vide il capo del duca d’Austria già tronco sul palco; ond’avidamente il raccolse Corradino, se lo strinse al petto, il baciò cento volte, baciò gli astanti, baciò il carnefice, pose il capo sul ceppo; e la scure piombò. Narran che prima gittasse il guanto a significar la investitura de’ reami a Pier d’Aragona, genero di Manfredi; narran che il conte di Fiandra, marito d’una figliuola di re Carlo, non reggendo all’empio sagrifizio, di sua mano uccidesse Roberto di Bari fabbro e dicitore della sentenza. Ben i bizzarri costumi dell’età aggiugnerebber fede a cotesti fatti; ma più certi e atroci prendo io a narrarne, affrettandomi a uscir di tanti orrori1.


  1. Bart. de Neocastro, cap. 9 e 10.
    Gio. Villani, lib. 7, cap. 28 e 29.
    Saba Malaspina, lib. 4.
    Frate Francesco Pipino, lib. 3, cap. 9.
    Ricobaldo Ferrarese, Hist. imp. an. 1268, etc.
    Un verso di Dante, se bene o mal interpretato non importa, diè luogo ai primi comentatori poco discosti dal secol XIII a narrare un aneddoto