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o di premio ad un chichesia, ma agli usi della vita non mai. Uscito ruvido e disuguale dal getto, fu ripulito al tornio, e recato in tutte le parti a rotondità. Le palmette che l’investono al di sotto, i grappoli e le foglie che più sentitamente distaccansi dal fondo, son tutte fuse in rame fuori d’opera, e tutte divisamente contornate ed apparecchiate, come vedesi allo staccarsi che hanno fatto in più d’un luogo dal fondo stando nelle acque. Dispose quindi l’artista tutte queste parti in quella giusta simmetria che l’occhio vede, e col saldatojo le fece aderire alle esterne pareti del vaso. Rivestillo quindi d’una sottile laminetta d’argento, e con sue ciappole forzolla ad attaccarsi tenacemente alle parti tutte del rilievo. Prese quindi co’ ceselli ciappolette e bulini a creare tutto il maraviglioso che l’opera dovunque presenta a vedere. I tralci e i viticci che sì leggermente quinci e quindi si svolgono, sono ricavati dalla sola lamina. Le cartilagini e i nervetti delle fogliarelle diverse son come modellati a finissimo bulino. Siccome poi l’artista era ad un tempo e l’inventore e l’esecutore della bellissima opera, così usò della mano motto abile a rappresentare quella varietà di concetto che nel cesellare gli si affacciava alla fantasia. Chi studia il vaso da vicino trova in tanta simmetria una curiosissima varietà: la mossa del grappoletto e della foglierella è ben eguale, ma diseguale ne è il garbo, e non perciò di men bell’effetto. Ne’ quattro cespi, da cui i tralci tutti si diramano, la forma di quelle grosse foglie e la vaga mutazione di que’loro andamenti è anche più variata; e se in questo che presentasi di fronte nel disegno, le seconde foglie s’incurvano e s’incartocciano verso il loro bulbo, nei tre altri si protendono in fuori con capricciose piegature e con bellissimi contorni. Minore è la varietà delle palmette in quella parte del vaso, che è la più convessa, e che, come graziosissima, ho fatta svolgere dal disegnatore valentissimo, Cav. Francesco M. Tosi, anche ad istruzione degli uomini che professano l’arte.
E della provenienza di questo calice che potrà dirsi mai? Lo diremo d’arte Etrusca, d’arte Greca, o d’arte Greco-Romana? Ho veduto io qui in Roma molti saggi d’antiche opere di cesello, ma niuna ne ho veduta di questo nuovo artifizio. A me è sembrato molto antico, anche perchè non mi persuado, che un artista abbia qui voluto accumulare tante difficoltà, se erasi già trovato il modo d’alzare di piastra, o di ricavare da una semplice lamina liscia, o d’argento fosse o di rame e bronzo, un’opera qualsiasi.
Trovasi il vaso in paese Etrusco. Veduto che il lavoro, per quanto io conosca, è forse unico nel suo genere, e che accenna ad un’arte che non ritrovo in monumenti greci o romani, mi sento tentato di riconoscerlo di origine Etrusca. Nè varrebbe l’oppormi la singolare grandiosità dello stile, chè gli Etruschi in somiglianti lavori ornamentali seppero condurre nel metallo opere nulla meno grandiose e magnifiche che quelle del nostro calice.