Pagina:LadonnafiorentinaDel Lungo.djvu/30

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14 nei primi secoli del comune

sìmbolo, li divorava senza pietà. Altre madri sulle vie di Firenze imitarono quella d’Orlanduccio del Leone, ma esse chiedevano pietà agli uomini, e agli uomini di parte! «Deh quanto fu la dolorosa madre de’ due figliuoli ingannata!» (una madre di Guelfi Bianchi de’ tempi di Dante) che con abbondanza di lagrime, scapigliata, in mezzo «della via, ginocchione si gittò in terra innanzi a messer Andrea da Cerreto giudice, pregandolo, con le braccia in croce, per Dio s’aoperasse nello scampo de’ suoi figliuoli. 11 quale rispose, che però andava a palazzo: e di ciò fu mentitore, perchè andò per farli morire»21. Oh se nell’attraversare oggi quel tetro maestoso cortile, nel salire le lunghe erte scale di quel Palazzo del Podestà, studiosi e commossi visitatori delle reliquie del nostro passato, pensassimo di quanto sangue furono bagnate quelle pietre più che sei volte secolari, dovremmo dire che a cancellarne la traccia, non ci voleva meno delle lacrime tante che quel sangue è costato!

III.

Tutta ravvolta in questi foschi vapori di scellerato odio fraterno, attraversa la donna fiorentina il secolo XIII compagna de’ forti mercatanti ed artefici che lavorando e combattendosi, non meno alacremente l’una cosa che l’altra; e senza tuttavia rimanere insufficienti ad altre faccende, — soggiogare i magnati, osteggiare i Comuni vicini, resistere all’Impero, tenere in rispetto la Curia Romana; — fondano la guelfa, democrazia. Arti e mestieri, nonostante la intestina guerra, fioriscono; e con essi, i commerci e le industrie: la ricchezza muta i sentimenti e i costumi; l’arte del bello, figurato e scritto, comincia