Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/231

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di morte presso gli Ateniesi.. Senofonte e Platone non parlano che di veleno, [testo greco], e le autorità di Cicerone, Val. Massimo. Plutarco, Ovidio, che di cicuta non fanno cenno; e quelle di Plinio, Eliano. Diogene, Giovenale ecc., che la nominano in proposito, sono posteriori tutte più o meno. — Ho letto in qualche luogo che la tazza in cui si mesceva il veleno custodivasi a chiave da un magistrato ateniese, il quale non senza formalità apprestava il liquore. Il dott. Mead dice, essere probabile che quella bevanda fosse una mistura di parecchie droghe, fra le quali entrava la cicuta, forse non dissimile da altra bevanda che, al dire di Val. Massimo, serbavano i magistrati di Marsilia per concederla a chiunque avesse allegata una ragione plausibile di bramar di morire placidamente. Costume, secondo lo stesso Valerio, derivato dall’Asia. — E la morte di Socrate fu placidissima.

Molte belle ed utili cose ragionando ecc. — Nel Fedone con quel magistero che tutti sanno si pingono gli ultimi istanti di Socrate, i quali degnamente conchiudono una tanta vita. Eppure quanto di malizioso e di stolto non si disse in proposito da Lattanzio, da Tertulliano e da altri, particolarmente sulle ultime parole pronunciate dal filosofo: o Critone, dobbiamo il gallo a Esculapio. Ma datelo, e non siate trascurati! Perchè non osservare, com’altri fece, che la vita, essendo per Socrate una malattia, il suo voto ne esprimeva la riconoscenza per la brama la guarigione? — Così accenna Cousin l’intenzione di lui: „Socrate troppo illuminato per accettare senza eccezione le allegorie popolari, cui racconta a suoi amici, è troppo indulgente altresì per rigettarle con severità; e noi vediamo tutt’al più errare sulle labbra del buono e spiritoso veglio quel mezzo sorriso che tradisce lo scetticismo senza mostrare il disprezzo.“

XXIII. Gli Ateniesi si pentirono ecc., e Socrate onorarono di una statua ecc. — Tutto ciò affermasi anche da al-