Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/224

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pitagora. 205

Dicesi che tu pubblicamente filosofeggi; la qual cosa sdegnò di fare Pitagora, che consegnando a sua figlia Damo i suoi commentarj, le ingiunse di non affidarli a nessuno fuori di casa. Ed essa potendoli dare per molto prezzo, non volle a patto, stimando che fosse di maggior valore la povertà che non l’oro. — Anche Telauge era suo figlio, il quale surrogò il padre e, secondo alcuni, fu precettore di Empedocle. Ippoboto certo afferma che Empedocle dicesse:

     Di Teano e Pitagora, Telauge
     Inclito giovinetto.

Non vanno attorno opere di Telauge, ma di sua madre Teano alcune; ed anche si narra che interrogata dopo quanti giorni una donna fosse pura dall’uomo, rispose: Dal suo all’istante, dall’estraneo mai. Ed esortava quella ch’era per accostarsi al proprio marito a deporre insieme colle vesti anche la modestia, e sorgendone, a riprenderla di nuovo insieme con esse. Interrogata, qual modestia? rispose: Quella per cui sono appellata donna.

XXIII. Pitagora dunque, come dice Eraclide di Serapione, morì secondo il proprio modo di segnare le età, di ottant’anni: ma come dicono i più, il nonagesim’anno di vita. — Sono nostri i versi scherzosi su di lui che stanno così:

   Dalle cose animate non astieni
      Già tu solo, o Pitagora, le mani;
      Perchè, chi mai cose animate gusta?