Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/24

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12 capo ii

allorchè nel mondo vedeva piloti, e medici, e filosofi, che l’uomo era l’intelligentissimo degli animali; ma quando in cambio interpreti di sogni e indovini, e chi crede a costoro, o quelli che sono attaccati alla gloria e alle ricchezze, nessuna cosa stimava più matta dell’uomo. — Diceva credere che nella vita fosse d’uopo apprestare con maggior frequenza la ragione che il laccio. — Una volta avendo osservato Platone gustare in una cena suntuosa delle olive: Perchè, disse, o valent’uomo, tu che navigasti in Sicilia in grazia di siffatte mense, ora che l’hai vicine, non le godi? E quegli: Ma per gli dei, rispose, o Diogene, colà pure io mi accostava d’ordinario alle olive ed a cose simili; e questi: Che bisogno era dunque navigare a Siracusa? forse che l’Attica allora non produceva olive? Favorino per altro riferisce, nella Varia istoria, ciò aver risposto Aristippo. — E un’altra volta abbattutosi, mangiando dei fichi, in Platone, Pigliane, disse, se ti piace; e prendendone e mangiandone l’altro, Diogene aggiunse: Ho detto prendere, non divorare. — Calpestando i tappeti di lui, un giorno ch’e’ banchettava alcuni amici di Dionisio, disse: Calpesto la vanità di Platone. E a lui Platone: Quanto fumo fai travedere senza parer di averne! — Narrano altri che Diogene dicesse: Calpesto il fumo di Platone; e quegli soggiungesse: Con altro fumo, o Diogene. — Nondimeno Sozione nel quarto afferma questo aver detto il Cane a Platone. — Una volta Diogene chiese a questo del vino, e in pari tempo anche dei fichi. Ei gliene mandò un’anfora piena; e quello: Se tu, dissegli, fossi interrogato: due e due quanti fanno, venti