Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/26

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14 capo ii

parato a convivere coi potenti, non vi s’accostava mai. — E diceva pure che agli amici non si doveano stendere le mani colle dita chiuse. — Racconta Ermippo, nella Vendita di Diogene, che preso e venduto, lo si interrogò qual cosa sapesse fare? e che rispose: Comandare ad uomini. E al trombetta poi: Grida, disse, se qualcuno volesse comprarsi un padrone. — Proibitogli di sedere, Non fa caso, disse; chè anche i pesci, come che si giacciano, si vendono. — Diceva maravigliarsi che se comperiamo una pentola od un tegame, li facciamo suonare, se un uomo poi, stiamo contenti alla sola vista. — Disse a Seniade suo compratore ch’egli doveva obbedire a lui, quantunque schiavo; perchè se anche un medico ed un pilota fossero schiavi, si dovrebbe a quelli obbedire.

V. Eubulo, nel libro intitolato: La vendita di Diogene, riferisce, ch’egli educò i figli di Seniade di tal modo che, dopo le altre discipline, imparassero a cavalcare, tirar d’arco, girar la fionda, lanciare il giavellotto. Poi nella palestra non permetteva che il maestro gli esercitasse a modo degli atleti, ma solo per averne bel colore e dispostezza. Ritenevano que’ fanciulli molti detti di poeti, di scrittori e dello stesso Diogene. Usava in ogni cosa esposizione ricisa, onde meglio tenessero a memoria. Gli educava in casa ne’ servigi, ad usare poco cibo, e a bere acqua; e li facea tosare sino alla cute, avvezzandoli senza attillature, e senza tunica di sotto, e scalzi, e silenziosi, a guardare a sè per le vie. Li faceva anche uscire alla caccia. Ed essi in ricambio si prendevano cura del medesimo Diogene, e gli aveva mediatori presso i parenti.