Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/340

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timone 319

portato allo scrivere, e capace di dettar favole e compor drammi per li poeti. Delle tragedie faceva parte ad Alessandro e ad Omero. Disturbato dalle fantesche e dai cani, non diceva nulla, per desiderio di vivere tranquillamente. — Raccontano che Arato lo interrogò in qual modo si potessero avere i poemi di Omero senza errori, e ch’ei rispose: Se ci abbattessimo negli Esemplari antichi, non per certo ne’ già corretti. — I suoi versi giacevano presso lui negletti, rosicchiati talvolta; a segno tale che il retore Zopiro leggendoli, ed e’ svolgendone le carte e dichiarando man mano ciò che seguiva, giunto alla metà, ne trovò così una parte lacera che avea sino a quel punto ignorata. Tant’era indifferente. Fu poi anche di tal costituzione di corpo da non concedersi nè manco di pranzare. — Narrasi che vedendo Arcesilao passare pel Cercopo abbia detto: Perchè tu qui ove noi liberi? — Ed era solito ripetere del continuo a coloro che giudicano dei sensi col testimonio della mente:

     Ed Attaga e Numenio sono uniti.


E anche era solito scherzare in questo modo. Ad uno che meravigliavasi di ogni cosa disse: Perchè non ti meravigli che noi, essendo tre, non abbiamo che quattro occhi? Egli e Dioscoride suo discepolo erano ciechi di un occhio, senza difetto quello al quale parlava. — Interrogato una volta da Arcesilao perchè fosse venuto da Tebe, rispose: Per ridere vedendovi allo scoperto. Ciò nulla meno pungendo Arcesilao ne’ Silli, lodollo nel