Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/409

Da Wikisource.
382 epicuro.

piterni ma, quello che eziandio apparisce, tutti gli accidenti si denno stimare corpi, anche se il sempiterno non accompagnino, nè per sè stessi in vece abbiano l’ordine naturale, ma si considerino nel modo col quale il senso stesso ne forma la proprietà. E però a questo ancora dobbiamo gagliardamente considerare: poichè il tempo non va cercato, siccome tutte l’altre cose che cerchiamo nel subietto, riferendoci agli antecedenti che presso di noi medesimi si scorgono; ma alla stessa evidenza per la quale diciamo da reputarsi il tempo molto o poco, ciò spacciando quasi per parentela. Nè si denno scegliere locuzioni come migliori, ma usare quelle stesse che all’uopo vengono a taglio; nè, che che altro di esso è da specificare, come avesse la medesima forza di questa proprietà: che ciò fanno alcuni: ma soltanto è da avvertire principalmente che il particolare che vi annettiamo, questo anche commisuriamo. Non avendo mestieri di dimostrazione, ma di considerazione questo, che ai giorni, alle notti ed alle loro parti noi annettiamo un tempo; e parimente alle passioni e all’assenza di queste, ai movimenti e ai riposi qualche particolare accidente, pensando di nuovo intorno ad essi quello secondo cui nominiamo il tempo. (E dice questo anche nel secondo Della natura, e nel Gran compendio). Ed oltre le predette cose dobbiamo credere i mondi ed ogni finita aggregazione, che ha forma simile a quelle che frequentemente veggiamo, essere prodotti dell’infinito, separati da esse tutte, e maggiori e minori, pel proprio agitarsi; e di nuovo