Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/442

Da Wikisource.

epicuro. 415

XXVIII. Di quante cose la sapienza apparecchia alla felicità di tutta la vita, la più grande è il possedimento dell’amicizia.

XXIX. La stessa sentenza ci affida ancora non esservi alcun male eterno nè di lunga durata; e tra queste stesse limitazioni scorge essere dall’amicizia principalmente offerto un soccorso.

XXX. Tra le cupidità alcune sono naturali e necessarie, alcune naturali e non necessarie, altre finalmente nè naturali nè necessarie, ma agguantisi intorno ad una vana opinione. Naturali e necessarie stima Epicuro quelle che alleviano i dolori, come nella sete il bere; naturali e non necessarie quelle che variano soltanto il piacere e non tolgono il dolore, come i cibi preziosi; non naturali poi nè necessarie, come le corone e il collocamento delle statue.

XXXI Tutte le cupidità che non soddisfatte non conducono al dolore, non sono necessarie, ma hanno l’appetito facile a dissiparsi, quante, volte paiono essere difficili da procurarsi o produttrici di danno.

XXXII. Quelle cupidità naturali, che non soddisfatte non conducono al dolore, ed in cui si pone sollecita cura, nascono da vuota opinione, e non si diffondono per propria natura, ma per la vana gloria dell’uomo.

XXXIII. Il giusto della natura è il patto dell’utile, onde non danneggiarsi a vicenda nè essere danneggiati.

XXXIV. Per quanti animali non hanno potuto convenire di non danneggiarsi e di non essere danneggiati a vicenda, non v’è certo nè giusto, nè ingiusto. E così