Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/49

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diogene. 37

V’ha anche di nostro in metro proceleusmatico:

   A. Diogene, su via dimmi qual sorte
      In Averno ti trasse?
   D. Mi vi trasse crudel morso di cane.

Però dicono alcuni che morendo ingiugnesse di non seppellirlo, ma di gettarlo via, onde qualche parte di sè toccasse a tutte le fiere; ovvero di cacciarlo in una fossa e di coprirlo con poca polvere; o, secondo altri, dentro l’Elisso, affine di essere utile a’ fratelli. — Racconta Demetrio negli Omonimi, che il medesimo giorno che Alessandro in Babilonia, Diogene finì in Corinto. — Egli era vecchio nella centredicesima olimpiade.

XII. Corrono come suoi questi libri. Dialoghi: Il CefalioneL’IctiaLa cornacchiaLa panteraIl popolo atenieseLa repubblicaL’arte moraleDelle ricchezzeL’amatorioIl TeodoroL’IpsiaL’AristarcoDella morte. — Alcune lettere. — Sette tragedie: L’Elena; Il Tieste; L’Ercole; La Medea; Il Crisippo; L’Achille; L’Edipo. — Sosicrate nel primo della Successione, e Satiro nel quarto delle Vite affermano che nulla è di Diogene; e le tragediole, dice Satiro, che sono di Filisco eginese, discepolo di Diogene. — Sozione però nel settimo assevera che sono di Diogene queste opere sole: Della virtùDel beneL’amatorioIl mendicoIl TolomeoLa panteraIl CassandroIl CefalioneL’Aristarco di FiliscoIl SisifoIl GanimedeLe CrieLe lettere.