Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/16

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IL PRIMO LIBRO


no questi tanto innamorati delle richezze, questi cotanto avidi de danari, li quali furono sempre la ruvina et destruttione de molti, et nel vero che hanno da fare gli animi nostri (che di lor natura sono tutti celesti) con le terrene superfluità? h'altro gia non è l'argento et l'oro che una superfluità terrena, io so, che tutti quelli che filosofarno gravemente, non li annoverarno mai fra beni. Infelici mal nate, et travagliose richezze, poi che con tanto affanno siete acquistate, con lagrime et amari singhiozzi siete perdute, et con angustia et paura confervate. Scrive Seneca (autor grave et degno di molta fede) grande esser colui ch'usa è vasi di terra, come se di argento fussero, ma molto maggior essere chiunque adopra l'argento, come se di terra fusse, ma vengasi piu oltre, et vegasi meglio, di qual conditione sieno le tanto amate richezze, le quali, se tu le spargi, scemano incontanente, se le conservi et ben rinchiuse tenghi, elle non ti fanno punto piu ricco, ma ben ti rendono tutto occupato, di modo, che tu non ne sei padrone, ma sol guardiano di esse doventi. Giesu Christo (quella sapienza infinita) chiamò con la sua santa bocca, Beati è poveri, et piu d'ogn'altro abracciò et favorì la dolce povertà. Molti sommersero le ricchezze loro, et prudentemente fecero, havendo temenza di non essere da quelle sommersi, molti le sprezzarno, et molti anchora con acerbissi