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190 novelle indiane di visnusarma

per timore del re, non dicevano nulla. Ma poi, un giorno, fattasi la rassegna dei soldati del re, essendo nata una guerra, quando già gli elefanti erano schierati e i cavalli attaccati e i soldati messi in ordine, il re, conforme all’occasione, si mise a interrogare in disparte il pentolaio: O capitano, che nome hai tu? quale la tua stirpe? e in qual battaglia hai tu ricevuto cotesta ferita? — L’altro rispose: Signore, questa non è una ferita fatta dalle armi. Io mi chiamo Yudistira e per nascita sono un pentolaio. In casa mia erano già alcuni cocci. Un giorno, essendo ubriaco, nell’uscire stramazzai correndo sopra quei cocci. Allora mi si fece sulla fronte questa sconcia ferita che ha preso un aspetto così orribile. — Udendo ciò, il re tutto svergognato disse: Oimè! io sono stato ingannato da questo pentolaio che voleva imitare i capitani! Gli si dia sùbito qualche punizione. — Allora il pentolaio disse: O signore, non far così, ma fa di vedere nella battaglia l’agilità della mia mano. — Il re disse: Oh! tu sei fornito d’ogni sorta di virtù! Vattene tuttavia. Perchè è stato detto:


Sei forte, sei saggio,
Sei bello, o mio figlio,
Ma là nel villaggio


’Ve nato sei tu,
Lionfante giammai
Ucciso non fu. —


Il pentolaio domandò: Come ciò? — Il re incominciò a raccontare:

Racconto. — Una volta in un paese selvoso abitava una coppia di leoni. Un giorno, la leonessa partorì un paio di leoncelli, e il leone intanto, continuando ad ammazzar animali selvatici, ne dava alla leonessa. Un giorno, egli non potè trovar nulla; anzi, mentr’egli errava qua e là per la selva, il sole venne al tramonto. Soltanto, intanto che tornava alla sua tana, trovò un piccolo sciacallo. È questo ancor piccino! — egli pensò, e presolo con cura fra i denti, lo portò vivo ancora alla leonessa. La leonessa allora disse: Hai tu, o caro, qualche cosa da mangiare? — Il leone disse: O cara, io quest’oggi, tranne questo piccino di sciacallo, non ho potuto trovare alcun animale. Io però, pensando ch’esso è tanto piccino, non l’ho ucciso. Certo egli è come uno della nostra stirpe. Perchè è stato detto:


Anche a costo della vita,
Non a donne o a sacerdoti,
Non a piccoli fanciulli,


Non a Bràmani devoti,
Se da lor fiducia s’ha,
Violenza mai si fa.


Tu ora però fanne tuo pro’ mangiandolo. Domani io mi procaccerò qualche altro animale. — La leonessa disse: Caro mio, tu, pensando che questo è un piccino, non l’hai ucciso. Perché dunque io, a pro’ del ventre mio, dovrei ucciderlo? Ora, è stato detto:


Cosa ch’é illecita
Far non si può,
S’anche pericolo
Di vita è in ciò.


Cosa ch’è lecita
Non lascierai;
Cotesta legge
Non mutò mai.


Perciò costui sarà per me come il mio terzo figlio. — Detto ciò, col latte delle sue proprie mammelle molto bene lo allevò. Così quei tre piccini, che