Pagina:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu/43

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DISCORSO PRELIMINARE

rabilmente e con gran consiglio usò. Ma nella vecchiezza voltosi a miglior consiglio e imitando Dante compose un libro a’ volgari assai grato e piacevole Del sito e investigazione del mondo... Dopo molti dì della sua vecchiezza modestissimamente passati in tranquillità, morì a Verona, e quivi fu seppellito.» La sua discendenza, perocchè egli ebbe moglie, si conservò per quasi duecento anni in Venezia nell’ordine de’ gentiluomini popolari, da Leopardo suo figliuolo fino ad Antonio segretario del senato nel secolo XVI. Storici ed eruditi posteriori affermano ch’e’ fosse laureato: ma tacciono di questo le notizie del tempo. Certo non morì prima del 1360; perchè nel Dittamondo (II, 3) parla di Carlo di Lussemburgo coronato Nello mille trecento cinquantuno E cinque più; e nel 1355 o poco dopo dovette essere scritta la canzone contro l’indegno nipote d’Arrigo VII. Così la vita poetica di Fazio si contiene fra due limiti storici, che segnano pure due differenti modi del pensiero ghibellino. Imperocchè la prima sua poesia del cui tempo abbiamo notizia certa è la canzone citata dal Trucchi pel parlamento tenuto in Trento nel 1326 da Lodovico il Bavaro co’ Ghibellini d’Italia, nella quale il giovane poeta fa istanza all’imperatore: «Che venga o mandi e non indugi ’l bene: Perchè a lui si conviene Risuscitar il morto Ghibellino E vendicar Manfredi e Corradino.» Qual differenza da quella al lussemburghese, ultima di cui sappiamo il tempo certo, dove si prega a Dio: «perchè ’l santo uccello... Da questo Carlo quarto Imperator non togli e dalle mani Degli altri lurchi moderni germani Che d’aquila un allocco n’hanno fatto? Rendilo sì disfatto Ancora a’ miei latini e ai romani: Forse allor rifarà gli artigli vani.» E di fatti il ghibellinismo propriamente detto era finito con Arrigo VII se pur non con Federigo II: a farne anche spregevole il fantasma non mancava che la calata di Carlo IV. Dopo costui, il desiderio e il canto del poeta mira più alto: e in una canzone, da noi edita, crediamo, la prima volta, introduce la grande ombra di Roma a domandare che l’Italia soggiaccia a un solo re che al suo volere consen-



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