Pagina:Le cene ed altre prose di Antonfrancesco Grazzini, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/66

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giare, avendo fatto intorno al letto accomodare un quadro;1 e con un suo compagno, uomo piacevole e faceto, motteggiando sempre, cenò allegramente. Alla fine, dato licenza al compagno, e alla fante detto che se ne andasse a dormire in camera sua, e solo rimasto, si cominciò in presenza della donna a spogliare, burlando e ridendo tuttavia. La moglie, meravigliosa non meno che timida, attendeva pure la fine di quello che far volesse; il quale, restato come Dio lo fece, se le coricò al lato, e cominciò di fatto, toccandola e stringendola, ad abbracciarla e a baciarla. A cui la donna, quasi sbigottita, ciò veggendo e sentendo, disse: Ohimè! Salvestro; e che vuol dir questo? sareste voi mai uscito del cervello? che è ciò che voi volete fare? Colui, rispondendo, diceva pure: Sta ferma, non dubitare, pazzerella: io procaccio tuttavia di guarirti. E volle, questo detto, acconciarsi per salirle addosso; ma colei, alzando la voce, prese a dire: Ohimè! traditore; a questo modo volete ammazzarmi? e non potete avere pacienza tanto che da sè stessa mi uccida la malattia, che sarà tosto, senza volere affrettarmi con sì strano mezzo la morte? Come! rispose Salvestro, io cerco mantenerti in vita, anima mia dolce: questa è la medicina al tuo male: così mi ha commesso il compar nostro maestro Mingo, chè sai quanto egli sia intendente fra gli altri medici; e però non dubitare: sta cheta e salda, a fine che, prestamente guarita, esca di questo letto. Colei, gridando pure e scotendosi, non rifinava di riprenderlo e di garrirlo; ma, sendo debolissima, dalla forza e da’ preghi del marito si lasciò finalmente vincere, di modo che il santo matrimonio adempierono: e la donna, avendo propostosi di stare immobile, come se di marmo fosse stata, non potette far poi che non si dimenasse; e ben le parve, come il marito la strinse, che le mettesse, come egli aveva detto, la salute in corpo; perchè ’n un tratto sentì dileguarsi il rincrescimento2 e l’affanno della febbre, la gravezza e la debolezza del capo, e la lassezza e la stanchezza delle membra, e tornar tutta scarica e leggiera, e col seme generativo gittare insieme la zinghinaja3 e tutto il malore: e così amen-

  1. Un quadro. Un tavolino; che generalmente sono quadri.
  2. Il rincrescimento. La noja, L’uggia.
  3. La zinghinaja. Il dolore, il tormento