Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/205

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capitolo decimoquinto. 197


Io recai ancora innanzi per iscusa la morte di Leopardo, i negozii lasciati sospesi da mio padre; finalmente mi diedi coraggio, mandai un’occhiata di soppiatto a Giulio, e nominai la Pisana. Allora ambidue mi chiesero a gara com’era stato quel tramestio con un ufficiale francese, di cui qualche cosa s’era buccinato fino a Milano. Io esposi la cosa per filo; e come gli incomodi e i pericoli che n’erano derivati alla Pisana, avessero costretto me a trattenermi colà per difenderla e consigliarla in qualche maniera. Mi diffusi sopratutto nella descrizione della mia fuga, per far risaltare ai loro occhi il rischio ch’io sfidava rimanendo a Venezia, e che certo non avrei voluto espormivi se una grave necessità non mi sforzava. In poche parole mi confessava colpevole entro me di quell’indolente tardanza, ma non voleva che altri potesse raccogliere argomenti da formulare un’accusa. Per non fermarmi poi troppo sopra questo punto che mi scottava in mano, discorsi delle condizioni provvisorie di Venezia, degli ultimi spogli del Serrurier, del nuovo governo stabilitosi nel quale il Venchieredo mi pareva avere qualche influenza.

— Caspita! non lo sai? — soggiunse Lucilio. — L’era il corriere fra gli Imperiali di Gorizia e il Direttorio di Parigi!...

— O piuttosto il Bonaparte di Milano, — corresse Giulio.

— Sia anche: già è lo stesso. Bonaparte non potea disfare quello che il Direttorio aveva già ordito. Il fatto sta che il Venchieredo fu pagato bene, ma temo o spero che gli andrà alla peggio, perchè serve sempre male, ed ha il danno e le beffe chi serve troppo.

— A proposito, — chiesi io; — e di Sandro di Fratta che ne dite?... L’ho veduto stamattina alla festa con tante costellazioni intorno che pareva lo zodiaco!

— Adesso si chiama il capitano Alessandro Giorgi dei