Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/401

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capitolo decimonono. 393

comandava inoltre di porre una piccola pietra di commemorazione nel cimitero di Fratta per monsignor Orlando; ma a ciò io aveva già pensato mesi addietro, e don Girolamo, a dispetto del fratello notajo, mi avea prevenuto in questa pia opera. Quella lapide portava un’iscrizione di cui si potevano perdonare le eleganti bugie, perchè già nessuno ci capiva nulla in paese. Peraltro un certo compare che sapeva di lettere, era giunto ad interpretarla fino ad un certo punto, dove si diceva che il reverendo canonico era morto octuagenarius: il che significava agli otto di gennajo, secondo lui. Ma molti si ribellavano, soggiungendo che non agli otto di gennaio era morto ma ai quindici.

— Eh? cosa mai! — rispondeva il valentuomo — vorreste che gli scalpellini badassero a queste minuzie? Giorno più giorno meno, l’importante è che sia morto per incastrargli addosso la lapide. —

Io diedi contezza alla Pisana di questo suo pietoso desiderio già adempiuto da un pezzo, lodandone molto don Girolamo, il quale, benchè non fosse nè un Vincenzo di Paola nè un Francesco d’Assisi, pur sapea farsi perdonare dai poverelli di Portogruaro la roba mal acquistata dal padre. — Non son tutti come il padre Pendola! diceva io. — Ella mi rispose che a proposito del padre Pendola se ne contavano di belle. Dappoichè il Papa aveva reintegrato la Compagnia di Gesù, egli s’adoperava molto per ottenerne lo stabilimento in Venezia. Siccome il novello istituto delle convertite non prosperava, si voleva ottenere dal consenso delle poche suore rimaste e colla debita licenza dei superiori, di erogarne le entrate al primo impianto d’una casa e d’un collegio di novizii. Peraltro il governo pareva alieno dal favoreggiare quest’idea; anzi l’avvocato Ormenta, che la caldeggiava, era in voce di dover essere giubilato.

Da questa notizia io capii tutto il maneggio di quella faccenda e come quei dabben sacerdoti primi fondatori del-