Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/433

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capitolo ventesimo. 425

— Ed egli?

— Ed egli si compiacque dell’epigramma, e se ne vendicò coll’addrizzarmi il più caro sonettino che sia mai stato scritto in inglese. Ve l’assicuro io, che sotto quell’anima tempestosa di Don Giovanni e di Manfredo, cova una pura fiamma che scoppierà un giorno o l’altro. Byron è troppo grande: oltrechè nei libri e nelle rime, deve finir poeta anche nella vita.

— Dio lo voglia! — sclamai — perchè la poesia è la realtà della felicità spirituale, la sola vera e completa.

— Ben detto — rispose Lucilio rimormorando le mie parole, ed io rigonfiava di tanto onore. — La poesia è la felicità reale dello spirito. Fuor d’essa vi sono godimenti, ma non contentezze!...

— Ed io, son dunque poetessa, perchè son contenta? — chiese con voce allegra ma fievole la Pisana.

— Voi siete Corinna! Voi siete Saffo! — sclamò Lucilio. — Ma non vi accontentate di balbettar odi o poemi e li create colle opere, e porgete alla sublimità poetica la loro più degna effigie, l’azione. Achille e Rinaldo prima d’esser poeti furono eroi.

La Pisana si mise a ridere, ma con tutta quell’ingenuità che esclude ogni sospetto di falsa modestia.

— Sono una Corinna molto pallida, una Saffo assai magra! — diss’ella ridendo ancora. — Mi sembra quasi esser diventata Inglese, che somiglio una cavalletta! ma ho guadagnato in idea aristocratica.

— Avete guadagnato in tutto, — soggiunse Lucilio, infervorandosi sempre più. — L’anima vostra trasparente dal pallore del viso, vi ringiovanisce e vi impedirà di diventar mai vecchia!... Chi giurasse che avete venticinqu’anni potrebbe esser creduto!...

— Sì, sì, ora che è morto il povero Piovano che m’ha battezzata! — Sapete ch’è una gran malinconia, il trovar