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460 le confessioni d’un ottuagenario.

L’amore di lei, che era si può dire immedesimato coll’anima mia, diffuse sui miei sentimenti un fiato salubre e vigoroso. Pensai che veramente per amarla avrei dovuto se non uguagliare, imitare almeno la sua grandezza, e sacrificarmi agli altri com’ella si era sacrificata per me. Pensai che non sono bugie quelle sante parole di famiglia e di patria, che sonando dal suo labbro, pigliavano un’autorità religiosa e quasi profetica. Pensai che, espiazione o battaglia, la vita nostra è un bene almeno per gli altri; e che quanto più è un male per noi, tanto più meritorio è il coraggio di portarla fino alla fine. I suoi sguardi, inspirati dalla fede delle cose misteriose ed eterne, mi lampeggiavano ancora dinanzi; sentii che la loro luce non si sarebbe offuscata mai più nel mio cuore, e che si sarebbe tramutata in una felice speranza, in un desiderio paziente ma sicuro. Piansi allora di bel nuovo, ma le lagrime scorrevano tranquille giù per le guance; e non precipitai più disperato e violento, ma mi sollevai lieve e rassegnato all’aspettazione della morte.

Dopo circa un’ora, durante la quale bene avvisarono di lasciarmi solo, tornò Lucilio a significarmi che la Pisana era stata colta da un improvviso sfinimento, ma che riavutasi col bere un cordiale, s’era allora allora acquetata in un dolcissimo sonno. Raccomandava la lasciassimo in pace e che la natura operasse sola, perchè non vi sono ristori più potenti de’ suoi. Egli sarebbe venuto prima di sera, a vedere se potesse aiutare coi soccorsi dell’arte i miglioramenti ottenuti da quelle ore di riposo. Successe infatti la tregua di alcuni giorni, nè la gioconda serenità della Pisana fu smentita mai un istante.

Quand’ella poteva avermi vicino a sè e farmi sommessamente ripetere che avrei mantenuto le mie promesse, un sorriso celestiale irradiava le sue sembianze; non l’aveva mai veduta così contenta neppur negli istanti delle nostre