Pagina:Le dicerie sacre.djvu/22

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Diceria I. 13

dipingere con simmetria, espresse la venustà del viso, l’eleganza de’ capelli, et al giudicio di tutti gli artefici di quel secolo conseguì la palma nel finimento delle linee estreme. Apelle finalmente secondo l’universale opinione gli andati, e futuri superò tutti, et recò l’arte al sommo dell’eccellenza. Di più non tutti furono del tutto perfetti, nè ognuno ottenne ogni singolarità, ma à molti molte cose mancarono, et alcuni più in una riuscirono, che in altra parte. Per la qual cosa ne’ secoli antichi Zeusi portò il vanto nelle frutta, Parrasio ne’ contorni, Apelle ne’ ritratti, Anfione nella dispositione, Aristide ne gli affetti, Asclepiodoro nelle misure, Pireico nelle bestie, Ardea ne’ paesi, Pausia ne’ fanciulli, Eufranore ne gli heroi, Eutichide ne’ carri, Sofo ne’ pavimenti, Nicia nelle donne, et ne’ cani, Claudio, Serapione, et Eudoro nelle scene, Turpilio nelle figure picciole. Et frà coloro, che ne’ tempi più à noi vicini fiorirono, à mirabil riuscita hanno fatta il Parmigianino nella gratia, il Correggio nella tenerezza, Titiano nelle teste, il Bassano negli animali, Pordenone nella fierezza, Andrea del Sarto nella dolcezza, Giorgione nell’ombreggiare, il Salviati nel panneggiare, Paolo Veronese nella vaghezza, il Tintoretto nella prestezza, Alberto Duro nella diligenza, Cangiaso nella prattica, Polidoro nelle battaglie, il Buonaroti ne gli scorci, Rafaello in molte delle sodette cose. Ma dove si ritrovò giamai Pittore, che fusse, ò esser potesse solo in tutte queste, eccellenze eminente, se non solo Iddio, di cui si dice. Nunquid nostri semitas nubiu magnas, et perfectas scientias Dei? La terza parte, cioè