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Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/125

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Il giorno allora essendo per comparire, impose silenzio a Scheherazade, e lasciò non solo a Dinarzade, ma anche a Schahriar grandissimo desiderio di udirne il seguito; che il principe rimise alla successiva notte.


NOTTE XXX


La dimane, Dinarzade, destatasi per l’impazienza di udire la continuazione della cominciata storia, disse alla Sultana: — In nome del cielo, cara sorella, ti prego di raccontarmi che cosa fecero quelle tre belle dame di tutte le provvigioni comprate da Amina. — Lo saprai subito,» rispose Scheherazade, «se mi ascolterai con attenzione.» E riprese come segue la novella.

«Contentissimo il facchino del danaro dategli dalle dame, doveva prendere il suo cesto ed andarsene; ma non vi si seppe risolvere, sentendosi suo malgrado trattenuto dal diletto di vedere tre bellezze sì rare, che gli parevano ugualmente leggiadre, poichè anche Amina erasi tolto il velo, ed ei non la trovava men bella delle altre due. Incomprensibile però gli parve il non vedere in quella casa nessun uomo. Eppure la maggior parte delle provvigioni da lui portate, come i frutti secchi e le diverse specie di pasticcerie e confetti, non convenivano se non a persone che volessero bere e stare allegre.

«Zobeide credè sulle prime che il facchino si fermasse per prender fiato; ma vedendo che trattenevasi troppo a lungo: — Che cosa aspettate?» gli disse; «non v’hanno a sufficienza pagato? Sorella,» soggiunse, volgendosi ad Amina, «dategli qualche altra cosa, onde se ne vada contento. — Signora,» rispose il facchino, «non è questo che mi trattenga;