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Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/130

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fuor di me: non troverei mai più la via della mia casa. Concedetemi di passar qui la notte per rimettermi, e starò ove più vi piacerà; ma non m’abbisogna minor tempo per tornare al medesimo stato in cui mi trovava quando sono entrato in casa vostra; e nonostante dubito ancora se non vi lascerò la parte migliore di me.» Amina prese per la seconda volta le parti del facchino, e disse: — Egli ha ragione, sorelle, e gli son grata della sua domanda. Ci ha molto ben divertite; e se volete credermi, o piuttosto se mi amate quant’io credo, lo terremo qui a passare la sera con noi. — Sorella,» disse Zobeide, «noi non possiamo ricusar le vostre istanze. Facchino,» proseguì poi volgendosi a costui, «vogliamo farvi anche questa grazia, ma però sotto una nuova condizione. Checchè potremo fare in vostra presenza, riguardo a noi o ad altre cose, guardatevi dall’aprir bocca per chiedercene ragione; poichè interrogandoci su cose che non vi risguardano, potreste udire quello che non vi piacesse. State attento, e non vi venga desio d’essere curiose, volendo conoscere i motivi delle nostre azioni. — Signora,» rispose il facchino, «vi prometto di osservare anche questa condizione con tanta esattezza, che non avrete motivo a rimproverarmi d’avervi minimamente contravvenuto, e molto meno di punire la mia indiscrezione. La mia lingua sarà immobile, ed i miei occhi saranno come uno specchio che nulla conserva degli oggetti ripercossi. — Per farvi vedere,» riprese Zobeide con serietà, «che quanto vi domandiamo non è cosa nuova fra noi, alzatevi, e andate a leggere ciò che sta scritto sulla nostra porta, all’interno.

«Il facchino obbedì, e lesse colà queste parole scolpite a grandi lettere d’oro: «Chi parla di cose che non lo risguardano, ode quello che non gli piace.» Tornò quindi alle tre sorelle, e disse: — Signore, vi